Sono forse quattro Barbie piuttosto deluse e incattivite, le quattro performer-danzatrici di Femina, coreografia firmata dalla prestigiosa coppia coreutica Abbondanza-Bertoni, vista a Bari all’AncheCinema nell’ambito del progetto di Res Extensa-Porta d’Oriente. O forse no, piuttosto che a Barbie le quattro esili sagome femminili con chiome biondo-platino, fanno pensare a quella Pris, la biondissima cyborg, la replicante di Blade Runner, così fragile e insieme così incattivita e risentita.
La dimensione femminile, appunto in Femina, dopo il quasi ironico e mesto auto-applaudirsi iniziale delle ragazze, procede in un continuum incalzante e senza tregua di corporei incontri, scontri, effusioni e separazioni, dove la “sorellanza” è tutta una scansione di gesti, di corpi in assolvenza e dissolvenza, con razionalissima (quasi ginnica!) e lucida consapevolezza che impone però come un’assenza di empatia, come un desolato rigore che scandisce ritmi, gesti, tensioni, nel toccarsi talvolta, nell’allontanarsi più spesso. Il ritmo sempre teso, a momenti frenetico che accompagna la iterazione dei gesti e delle posture, è quello impresso dalle musiche, dal filo sonoro continuato del gruppo Dawn of Midi, nel micidiale ritmo dei tre percussionisti di New York nel loro long-play Dysnomia.
Ironia e distanziamento a un certo punto impongono il grottesco “denudamento” del corpo femminile, riportato a manichino frigidamente porno: elementi e capi di intimo (slip e tanga sovrapposti) si sfilano per venire inglobati (anzi ingolati) da una Femina quasi cinicamente ludens, pronta poi a sputare via, ad espellere, tali oggetti non più del desiderio ma della sottomissione. Giù dalla ribalta.
Perfetta e di tecnica ineccepibile la performance di Sara Cavalieri, Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Ludovica Messina Poerio. Piuttosto, ma questo è un limite un po’ di tanta danza contemporanea e sperimentale (in Italia e ovunque): spesso è carente una qualche possibilità di emozionare, di “com-muovere” insieme alla geometria dei gesti e delle posture anche un qualche trasporto psicologico ed emotivo nel pubblico. Al di là della bravura e della perfezione tecnica.
Invece sul territorio del classico che più classico non si può siamo (per la serie Il Peso della Farfalla curata da Clarissa Veronico) con un lavoro che si è dato in un Caffè-Libreria, il Prinz Zaum in Bari, dove con Antigone-Esercizi di democrazia, è l’eterno mito di Antigone a contrapporsi alla legge degli uomini, degli uomini di potere in dettaglio, contro Creonte, perfetta incarnazione della politica che si sovrappone alla legge morale, quella che (secoli dopo Sofocle e dopo Antigone) Emmanuel Kant porrà come “imperativo categorico” dell’agire umano. Con l’attrice Nadia Casamassima (la regia è di Andrea Santantonio) si forma intorno alla vicenda sofoclea un vero e proprio Coro, formato dai 30 spettatori: spetterà a loro emettere la sentenza, dalla parte di Antigone così tetragona nel voler seppellire il fratello Polinice o dalla parte di Creonte che difende le ragioni “patriottiche” della Polis, nel condannare il traditore. Inutile dire che la grande maggioranza del Coro si schiera a favore dell’eroina, condannando il politicante Creonte. Ha quindi un bell’argomentare la studiosa Eva Cantarella, che nel suo Contro Antigone pubblicato or ora da Einaudi (ne parla in questo Icaro la collega Milena Pistillo) difende le ragioni di Creonte contro la “antipatica” Antigone. Il Mito eroico e femminile trionfa.
Con Altre stanze, del duo teatrale formato da Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia, (è sempre “Il peso della Farfalla” in scena) siamo in una chiesa, quella di San Gaetano in Bari Vecchia. La sacralità immobile dell’antico rito religioso (intorno incombono le statue dei Misteri, quelle portate in processione il Venerdì Santo) si confronta con la variabilità infinita delle narrazioni, delle derivazioni e dei rimandi da una storia all’altra (di teatro e no), da una “stanza” verso le Altre stanze della memoria. La rigidità del testo canonico si sfrangia in schegge e lacerti minimalisti: affiora la memoria recitata di Shakespeare, ed è Amleto che interpella Ofelia e lamenta il tradimento di Gertrude, madre lasciva, a seguire è il Dostoevskij di Delitto e castigo, con Raskol’nikov che uccide con l’accetta la vecchia usuraia, ma forse no, forse si sfugge alla realtà narrativa verso “altre stanze”, dove soccorre (mi pare) John Berger, il critico d’arte e scrittore inglese, con variazioni infinite della percezione del reale. Sofisticate finezze di teatro, suona anche un vecchio sassofono, mentre di lato la statua del’Addolorata, con la spada nel petto, sovrasta il Cristo Morto disteso, coperto da un velo, assistendo muta al mistero laico (e loico) di un nuovo teatro.
















