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La disfatta di Weimar: una storia “viva”

La disfatta di Weimar: una storia “viva”

 
Enzo Verrengia

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Enzo Verrengia

La disfatta di Weimar: una storia “viva”

Domenica 07 Dicembre 2025, 18:13

«Quella di Weimar è una storia così viva che resuscita i morti e continua a porre interrogativi alla Germania e, al di là della Germania, a tutte le democrazie che, di fronte al periodo 1932-1933, a von Papen e Hitler, ma anche a Schleicher, Hindenburg, Hugenberg e Thyssen, si sono trovate a misurare la propria finitudine. Se la Grande Guerra ha insegnato alle civiltà che sono mortali, la fine della Repubblica di Weimar ha dimostrato che la democrazia è caduca.»

Incipit esaustivo de Gli irresponsabili - Chi ha portato Hitler al potere?, di Johann Chapoutot. Ma non ci si aspetti, a seguire, un saggio accademico dove i rimandi in note sostituiscono la voce diretta dell’autore. Per quanto abbondino, è Chapoutot a esprimersi di persona. Si presenta come un uomo del XXI secolo che vuole giungere al nucleo tutt’ora incandescente della tragedia sulla quale si conforma quello precedente. E lo fa accantonandone l’eredità più nefasta, l’ideologia. Chapoutot conduce su carta una prolusione accorata, poi ironica, sardonica, spesso iconoclasta. Alcuni protagonisti sono quelli dell’incipit. Von Papen, scalzato da Schleicher, ultimo cancelliere e di fatto maître de cérémonie dell’ingresso nel Reichastag della NASDAP, la congrega nazionalsocialista, il Führer, che lo destituì, Hindenburg, il Presidente di una nazione schiacciata dal tallone di ferro delle Riparazioni alle potenze vincitrici della prima guerra mondiale e reduce dalla rivoluzione spartachista, Hugenberg, magnate dei media che precede di decenni Rupert Murdoch, Silvio Berlusconi e Vincent Bolloré, e Fritz Thyssen, della casata industriale determinante per l’ascesa della svastica. Chapoutot esplicita: «È difficile immaginare quanto eventi catastrofici come l’ascesa dei nazisti al potere e la marea di atroci conseguenze che ne sono derivate […] debbano al chiacchiericcio, alle vendette personali e agli intrighi da retrobottega…» Tutto raffrontato a oggi: «Bisogna dire che, al di là della natura caduca delle nostre democrazie, Weimar pone interrogativi sul nazismo, sulla guerra e sulla Shoah. Visto com’è andata a finire, la Repubblica di Weimar è diventata una sorta di metonimia del periodo tra le due guerre e dei suoi traumi».

Gli irresponsabili è una ricognizione retrospettiva della storia che precede le parate, i lager, la rinascita tedesca perpetrata sul filo dell’illusione, dell’abbaglio di massa. Complici anche i socialdemocratici e i comunisti, che si alleano con i nazisti alle elezioni amministrative e dei Länder pur di contrastare la tenuta costituzionale. In tal modo si accrescono le paure dell’imprenditoria produttiva, del latifondo e dello stesso esercito, che vorrebbe includere nei propri ranghi le SA e le SS per frenarne l’impeto nelle strade. Il cancelliere Brüning è incapace di prevedere l’esito della sua deriva antiparlamentare. Più di lui il presidente della Germania, Paul Ludwig von Beneckendorff und von Hindenburg. Il quale «era stato un bravo ufficiale di campo da giovane, ma poi non aveva guidato altro che caserme e squadre in manovre». Ai tempi di Weimar Hindenburg è un ultrasettenne Junker prussiano legato alle sue proprietà rurali, restituitegli con un imbroglio legale dopo le confische attuate da Brüning. Pure, avverte Chapoutot, «Non si dovrebbe considerarlo semplicemente come un vecchio e stupido militare». Infatti comprende la tendenza sempre più diffusa fra tutte le classi sociali ad accettare una stabilizzazione del Paese persino a costo di perdere la libertà. Hindenburg può solo lasciare le briglie ad Adolf Hitler, un «caporale austriaco» che si è inventato eroismi mai compiuti nelle trincee e ha dettato i suoi programmi a Rudolf Hess, un compagno di cella dalle idee esoteriche di ricongiungimento ariano fra i popoli del nord. Prospettiva che nella morente repubblica urtava contro l’iperinflazione, la fame e la mancanza di lavoro. Per la Germania, umiliata sul vagone ferroviario di Compiegne, il destino del Götterdämmerung era scritto anche nelle inadeguatezze delle sue signore. Tutte, anziché gli ideali ariani, prediligevano la moda, la frivola mondanità, le commedie cinematografiche americane, la vita notturna di Berlino, il gossip. Forse tra di loro riuscì a spiccare per una fugace stagione di autentica nobiltà Carin Von Fock, la prima moglie di Göring, morta di tubercolosi. Il grassone del Reich le dedicò la tenuta di Carinhall, celebrazione architettonica alla memoria che non turbò la nuova inquilina, Emmy.

Al momento decisivo, Eva segue Adolf nell’estremo gesto autodistruttivo con un’aria trasognata, quasi sia la conclusione di uno dei film d’amore che le piaceva tanto guardare al rifugio montano del Berghof. Per gli irresponsabili, con una formula successiva e di diverso contesto della stessa epoca, Hitler fu la soluzione finale.

 

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