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Arcipelago Fofi

Arcipelago Fofi

 
Anton Giulio Mancino

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Anton Giulio Mancino

Tutti al cinema con «La Gazzetta»

La sala del Cinema Galleria a Bari

Anche il cinema non vive di solo cinema

Domenica 07 Dicembre 2025, 18:31

«Ho visto film dall’età di quattro anni o al massimo cinque. […] Fu solo a Torino, attorno al ’60 o ’61, che cominciai a esercitarmi nella critica, sotto la guida di Paolo Gobetti che assistevo nella realizzazione di una rivistina che, nata come supplemento di “Cinema Nuovo”, dove imperava il “marxista” Aristarco, aveva maggior ampiezza di vedute, ancorché superficiali». Comincia così e procede più in là Goffredo Fofi nell’articolo “Lontano dal cinema” della quasi autobiografia Le nozze con i fichi secchi, che Feltrinelli dopo la sua scomparsa lo scorso 11 luglio ripubblica assieme a Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani, con in più il nuovo Arcipelago Sud. Voci e luoghi della cultura italiana, a cura di Mirko Grasso. E se soltanto Goffredo avesse immaginato quest’incipit, cinematografico, per sintetizzare l’intero suo approccio culturale, sociale e politico profuso nella sua tentacolare attività, anzi attivismo, non sarebbe stato d’accordo e non l’avrebbe mandata a dire. Eppure proprio il bisogno di parlare di letteratura e teatro, passa attraverso il filtro filmico, che ha sempre disdegnato per principio, portando in auge l’idea condivisibile e pedagogica che anche il cinema non può vivere di solo cinema, cosa che purtroppo i critici e gli studiosi di cinema trascurano volentieri, preferendo lo specialismo, il chiacchiericcio e la cinefilia come prassi autoreferenziale.

Pazienza, ma anche nel raccontarsi per esperienze fondative, Goffredo già nel suo dichiararsi “lontano” da quel “cinema” che ha amato e odiato dal principio come mestiere, per le ragioni di cui sopra, stabilisce una testa di ponte con Gobetti figlio, quindi Aristarco, e di conseguenza il marxismo soffocante dei suoi anni di formazione chiaramente a sinistra. I percorsi fofiani smistati in questi tre volumi importanti sta tutto nel creare intrecci e contributi militanti. La scrittura di Goffredo, come la sua vita, inseparabili l’una dall’altra, ha sempre trovato nello “short cut”, ovvero negli articoli o nei saggi brevi concepiti come articoli lunghi, una dismisura di tutte le cose inevitabilmente “compresenti”, per usare un aggettivo a largo spettro di uno dei suoi grandi maestri, Aldo Capitini. E Capitini, fondamentale nel nesso con Danilo Dolci, in Arcipelago Sud riporta al cinema: «Seppi di Danilo Dolci da una rivista, “Cinema Nuovo”, che pubblicava dei fotodocumentari “neorealisti”,  e tra quelli ve n’era uno su Partinico. Ne era autore Enzo Sellerio. Queste foto mi impressionarono molto e io, che mi ero appena diplomato maestro elementare, scrissi a Danilo ed egli mi invitò a seguirlo nel suo lavoro e la mia vita prese una strada nuova anche perché grazie a lui e al lavoro suo e delle persone che erano scese ad aiutarlo ho potuto conoscere intellettuali e politici di grande valore insieme a contadini e disoccupati analfabeti».

Difficile, o per molti versi troppo semplice, e a maggior ragione più complicato cercare il bandolo della matassa; almeno “un” singolo bandolo soltanto per ricordare e perciò condividere la figura di Fofi con chi non l’ha conosciuto. Non per stabilire una priorità, come avrebbe fatto certamente lui in esergo per sgombrare il campo da equivoci e imboscati, marcando cioè la priorità tra il rapporto diretto e quello mediato da incontri, letture, interventi pubblici; il più delle volte scontri a campo aperto con chiunque ne intralciasse il cammino, nonostante una voce e un’espressione del volto serene e rasserenanti, da grande vecchio, con ogni probabilità già in età giovane.

Immaginando a questo punto, un modo di riavvicinarsi a Fofi anche attraverso questi tre volumi, ecco che il più sostenibile esiste: persino nel terreno minato che poteva diventare quello predisposto a insaputa dell’interlocutore malcapitato o fortunato per unire o separare da lui, a seconda delle circostanze, in una promettente prima volta o in una inquieta seconda in cui calava il sipario, per poi risollevarsi chissà quando.

Quello che infatti non sbiadisce nel ricordo, è ancora oggi il Fofi giovanissimo, già con la vocazione a trasformare il suo esserci in un arcipelago”, con il cuore rivolto a sud, insegnante in erba che dall’Umbria si sposta in Sicilia e inizia a collaborare con Dolci. È sicurante il Goffredo più profondo e duraturo, il pedagogista ed educatore che è rimasto dentro. Quello che merita maggiormente di essere interiorizzato, perché la funzione l’aveva interiorizzata innanzitutto lui. Ha cominciato così, da maestro con il suo primo maestro, che fu Dolci, da cui ha ereditato il «metodo […] di comunicare con solo una persona alla volta e di avere le ultime risposte, non le prime, le più istintive e ancora, si direbbe superficiali».

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