Marco Ventoruzzo è attualmente ordinario di Diritto commerciale presso la Bocconi di Milano. Avvocato, dottore commercialista e revisore legale, è socio di uno dei principali studi legali italiani e presidente di AMF Italia. Il suo libro Il van Gogh di Liz Taylor. Falsi, furti e potere: le regole del mercato dell’arte, Egea Editore, racconta storie differenti come capitoli di un unico legal thriller che attraversa botteghe di pittori, gallerie di collezionisti e aule di tribunali. Il testo riflette su cosa si intenda con “opera d’arte” e cosa la distingua da altri prodotti dell’ingegno umano, quali sono le regole del mercato, come funzionano le aste e infine storie di furti - quello rocambolesco della Gioconda -, falsi, sottrazioni illegittime specie in tempo di guerra dove, si sa, saltano tutte le regole e le leggi del consorzio umano. È questo il caso della diva de La gatta sul tetto che scotta, Liz Taylor, che nel 1963, mentre viveva a Londra con Richard Burton, acquistò all’asta da Sotheby’s un van Gogh per 92.000 sterline, precisamente la veduta di una cappella di Saint-Remy dipinta nel 1889 quando l’artista “maledetto” fu ricoverato nell’asilo mentale di questa città provenzale dopo il celebre episodio del taglio dell’orecchio a seguito di una lite con Paul Gauguin e un anno prima del colpo di pistola al cuore con cui metterà fine alla propria vita.
Il dipinto era di proprietà di una ebrea tedesca, Margarete Mauthner che nel 1939 aveva lasciato la Germania per via delle persecuzioni naziste ed era migrata in Sudafrica dove morì nel 1947. I legittimi eredi della Mauthner citarono poi negli anni Novanta l’attrice, notoriamente famosa per la sua indole capricciosa e volubile, reclamando la proprietà del quadro poiché il regime hitleriano lo aveva confiscato illegalmente. In realtà la Mauthner lo aveva venduto a un mercante ebreo ma non è ancora chiaro se lo avesse fatto liberamente perché voleva disfarsi del dipinto o a causa di uno stato di necessità forzata dovuto alle condizioni di vita imposte agli ebrei dal regime, quindi non volontariamente. Le leggi emanate dagli alleati dopo la liberazione prevedevano la possibilità che le opere d’arte cedute under duress (cioè in ristrettezze economiche indotte da forze esterne) da persone perseguitate dal 1933 al 1945 fossero suscettibili di recupero da parte dei legittimi proprietari.
Nella causa che ne seguì gli avvocati delle parti contendenti sollevarono diverse questioni tecniche ma la Corte diede ragione alla Taylor: tutto era andato in prescrizione a causa del tempo trascorso. La diva fu considerata in buona fede, non potendo essere a conoscenza delle “disavventure” del van Gogh. Gli eredi della Mauthner al contrario puntavano sul fatto che l’acquirente si sarebbe dovuta informare circa le origini del dipinto. La diva replicò che sebbene il catalogo dell’asta riportasse la proprietà della signora Mauthner in seguito il dipinto era passato per ben due diverse gallerie prima di essere venduto a un ebreo tedesco, Alfred Wolf, anche lui scampato ai nazisti nel 1933.
Nel 2012 Liz Taylor vendette il suo piccolo gioiello di famiglia per la modica cifra di sedici milioni di dollari. Questo caso tuttavia - precisa Ventoruzzo - rappresenta più l’eccezione che conferma la regola: difatti in tutti gli ordinamenti, compreso il diritto internazionale, le opere d’arte sottratte più o meno violentemente alle minoranze perseguitate dal regime nazifascista nel secolo scorso sono state per lo più restituite ai legittimi eredi.
Nel suo libro Ventoruzzo esplora anche il mondo dei falsari, spesso bizzarro come nel caso di Han van Meegeren - il cui Vermeer autoprodotto finì nella collezione del gerarca nazista Hermann Goring- e Mark Landis che, travestito da prete, inondò delle sue copie musei americani inconsapevoli.
Quindi i furti romanzeschi come quello della Gioconda e del ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya. Quest’ultimo in particolare desta ilarità per la dinamica del furto stesso del ritratto esposto alla National Gallery di Londra. Il ladro fu un certo Kempton Bunton, ex autista di autobus che nell’estate del 1961 era molto arrabbiato per una semplice ragione: i poveri pensionati inglesi dovevano pagare il canone tv anziché essere esentati. Bunton iniziò cosi a bazzicare la National Gallery e fare la conoscenza delle guardie che si lasciarono scappare informazioni sulla sicurezza. Una mattina Bunton fuggì col dipinto da una finestra del bagno. Promise la restituzione del dipinto in cambio di una donazione di 140.000 sterline che avrebbe coperto il canone tv per i pensionati. Bunton restituì il quadro spontaneamente ma senza la cornice, ragion per cui fu condannato a tre mesi di reclusione per il furto della cornice mancante.















