Domenica 28 Settembre 2025 | 22:33

Eterne “Lezioni americane”

 
Giacomo Fronzi

Reporter:

Giacomo Fronzi

Eterne “Lezioni americane”

Cinque fari nel buio della civiltà

Domenica 28 Settembre 2025, 20:26

All’inizio di quest’anno, sul “New Yorker”, la scrittrice e critica letteraria turco- statunitense Merve Emre ha definito Italo Calvino «uno dei più affascinanti autori che abbiano mai preso la penna in mano». Nulla di più vero. E nell’anno in cui lo celebriamo, a quarant’anni dalla sua scomparsa, è doveroso chiedersi cosa resta della sua voce, della sua eredità intellettuale, morale e civile, dell’attualità del suo “pensiero letterario” (perché, anche in letteratura, così come nella musica o in altre arti, andrebbe adeguatamente indagato il “pensiero” su cui un’attività narrativa e un certo stile di scrittura si fondano). Uno dei lasciti più preziosi – e non per la sua collocazione nella biografia del Nostro, vale a dire nella parte conclusiva, in virtù della quale si sarebbe potuta usare quella formula un po’ consunta di “testamento spirituale” – è rappresentato dalle Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Questo titolo, utilizzato per l’edizione italiana, lo sceglie Esther Singer, moglie di Calvino, perché, come spiega ella stessa nella nota introduttiva, «in quell’ultima estate [siamo nel 1985, ndr], Pietro Citati veniva a trovarlo spesso al mattino e la prima domanda che faceva era: “Come vanno le lezioni americane?” E di lezioni americane si parlava». Si tratta di un ciclo di sei lezioni che Calvino avrebbe dovuto tenere nell’anno accademico 1985/1986 all’Università di Harvard, in risposta all’invito alle celebri “Charles Eliot Norton Poetry Lectures”. Queste “lectures”, istituite nel 1925 da Charles Chauncey Stillman, finanziere e straordinario sostenitore-benefattore dell’Università di Harvard, prevedono che le persone invitate restino in residenza per tutta la durata del loro incarico, tenendo almeno sei conferenze. Il termine “poesia”, contenuto nel titolo delle lezioni, è interpretato nel senso più ampio, includendo tutte le espressioni poetiche nella letteratura, nella musica o, in generale, nelle arti. Calvino, inserendosi in una storia, quella delle “Lectures” harvardiane, che ha visto come protagonisti figure come T.S. Eliot, Igor Stravinsky o Jorge Luis Borges, sarà il primo italiano a essere invitato (ne seguiranno poi solo altri due: Umberto Eco e Luciano Berio). Le Lezioni americane, il cui titolo originale è Six Memos for the Next Millennium (rimasto come sottotitolo nell’edizione italiana), sono state scritte tra l’aprile e l’agosto del 1985 e non sono alla base di alcuna teoria o scienza della letteratura, giacché, come ha efficacemente sostenuto Valerio Magrelli, non era questa una preoccupazione di Calvino. Restano, invece, un luminosissimo faro nel buio della cultura e della civiltà, non solo per il fatto di essere costruite richiamando mirabilmente alcune delle maggiori voci della letteratura di ogni tempo, ma anche – e soprattutto – per il fatto di indicare un orizzonte per il futuro, a partire da sei parole paradigmatiche: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Coerenza (quest’ultima non vedrà la luce). Nelle sue cinque lezioni, c’è tutto Calvino: una certa vocazione funambolica (in grado di individuare soluzioni linguistico-architettoniche inscritte in una unità sempre coerente), una vastissima cultura (che gli consente di muoversi non solo nel tempo e nello spazio della letteratura, ma anche di alludere a costellazioni disciplinari delle più diverse) e un profondo senso di responsabilità rispetto al futuro dell’umanità. La sua straordinaria capacità di tenere insieme storia e progresso, memoria e visionarietà, quella sua così peculiare maestria nell’osservare un oggetto da angolazioni diverse e nel produrre immagini e immaginari sempre nuovi, sono connesse a un doppio convincimento: il fatto che la scrittura sia un vero e proprio atto conoscitivo (con il portato di responsabilità che può implicare) e la carica trasformativa dell’immaginazione. Proprio la meravigliosa lezione sulla Visibilità, nella quale si transita con estrema sicurezza e fantasia da Dante a Balzac, da Ignacio de Loyola a Starobinski, Calvino si pone domande che, ai nostri occhi, paiono ancora più drammatiche: «Quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la “civiltà dell’immagine”? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate?». La scelta di includere la Visibilità nel suo elenco di valori da salvare nel terzo millennio, allora, è legata a un pericolo che Calvino avverte in modo chiaro: l’annullamento di una facoltà umana fondamentale, «il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini». Quel pericolo si è trasformato, nel nostro presente, in sconfortante realtà. Seguendo la direzione indicata da Calvino, non ci resta che cercare di correre ai ripari, nella speranza di essere ancora in tempo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)