bari La morte di Walter Rafaschieri non fu premeditata. Il verdetto è ormai definitivo dopo la decisione della Cassazione che ha rigettato il ricordo della procura generale che insisteva per il riconoscimento dell’aggravante della premeditazione. Diventano così irrevocabili le condanne a 20 anni di reclusione per il boss Giovanni Palermiti, figlio del capo clan Eugenio (ridotta già in appello rispetto all’ergastolo del primo grado) e a 18 anni per l’altro esecutore materiale, il pluripregiudicato Filippo Mineccia, genero del boss, difesi rispettivamente dagli avvocati Raffaele Quarta e Nicola Quaranta.
L’agguato del 24 settembre 2018, cioè, fu pianificato dal clan, ma l’obiettivo del commando era uccidere l’altro fratello Rafaschieri, Alessandro, che nella sparatoria rimase ferito. La spedizione punitiva fu organizzata perché Rafaschieri aveva iniziato a spacciare nel quartiere a ridosso delle strade della movida barese, violando l’accordo che c’era con il clan di Japigia.
Alla sbarra per il duplice agguato mafioso, nella guerra in atto all’epoca tra i clan Palermiti e Strisciuglio per la gestione dello spaccio a Madonnella, c’erano anche i presunti fiancheggiatori dell’azione di fuoco: il pregiudicato Michele Ruggieri (confermati 17 anni e 8 mesi) e Riccardo Campanale (confermati 18 anni), entrambi accusati di aver fornito le armi per l’agguato; Gianfranco Catalano nel ruolo di vedetta (condanna a 8 anni e 6 mesi di reclusione).
Vicenda che lo stesso Palermiti ha raccontato ai pm in un lungo interrogatorio, dopo aver descritto dettagliatamente tutte le fasi dell’agguato, l’appuntamento sul terrazzo di casa di un sodale all’alba del 24 settembre per recuperare «i giubbotti, le pistole, le maschere, passamontagna». Poi l’appostamento in una stradina all’ingresso del quartiere Carbonara e l’inseguimento della moto con a bordo i fratelli Rafaschieri.