Domenica 28 Settembre 2025 | 14:09

«Suicidio in carcere», a Taranto il medico e la psicologa rischiano processo

 
«Suicidio in carcere», a Taranto il medico e la psicologa rischiano processo

L’uomo era giunto al «Carmelo Magli» il giorno precedente: era considerato a «rischio lieve»

Domenica 28 Settembre 2025, 12:13

Rischiano di finire a processo la psicologa e il medico del carcere di Taranto coinvolti nell’indagine partita dopo il suicidio di un detenuto arrivato al “Carmelo Magli” solo il giorno prima del tragico gesto. La Procura di Taranto, al termine delle attività d'indagine coordinate dal pubblico ministero Rosalba Lopalco, ha infatti chiesto il rinvio a giudizio dei due professionisti.

La psicologa, nella qualità di membro della equipe psichiatrica, aveva il compito di condurre un colloquio di primo ingresso con i detenuti appena arrivati nell’istituto. Dopo aver constatato che l’uomo aveva manifestato un “rischio di suicidio lieve” e ritenuto necessaria la sorveglia per evitare gesti autolesionistici, ha inviato una mail alla sezione di medicina penitenziaria, ma non ha comunicato al direttore del carcere e alla Polizia penitenziaria la sua conclusione professionale.

Questa mancata segnalazione ha impedito, per la procura, che si attivassero le procedure stabilite in questi casi: il 22 aprile 2023, solo 24 ore dal suo arrivo nel penitenziario, l’uomo si era infine tolto la vita impiccandosi nella cella.

Nell’inchiesta, come detto, è coinvolto anche il medico di guardia del reparto: quest’ultimo, stando alla ricostruzione degli inquirenti, una volta ricevuto quel certificato dalla psicologa, ha confermato la diagnosi e poi inserito nella cartella clinica l’esito e la diagnosi, senza però, avvisare il personale di polizia penitenziaria e far scattare i controlli di sicurezza intorno al detenuto.

Insomma, i due professionisti difesi dagli avvocati Alessandro Scapati, Gaetano Vitale e Francesco Fico, secondo il pm Lopalco, avevano l’obbligo di informare con urgenza, anche verbalmente, le condizioni di fragilità psicologica del detenuto e non facendolo, avrebbero contribuito alla formazione delle condizioni che hanno permesso all’uomo di pianificare, organizzare ed eseguire la sua morte all’interno della cella.

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