Durante le presentazioni pubbliche si sente spesso dire che un libro è “necessario”. Questa volta lo è davvero. Ho intervistato il giornalista Luca Pernice e don Luigi Ciotti al Salone del Libro di Torino, dove insieme hanno presentato Schiavi d’Italia, il reportage di Luca Pernice, edito dalle Editrice Paoline, che racconta il ghetto di Borgo Mezzanone (Puglia, tra Foggia e Manfredonia).
Luca Pernice, che cos’è il ghetto di Borgo Mezzanone?
«È una vera e propria città, con oltre 2000 migranti nordafricani. Arrivano in cerca di lavoro, ma trovano solo sfruttamento».
Perché la chiami città?
«Ci sono strade, quartieri divisi per lingua, attività commerciali, discoteche – che in realtà sono luoghi di prostituzione. Ma manca ogni forma di legalità: l’elettricità è rubata dai pali, l’acqua non esiste, le baracche sono fatte di lamiere, cartone e plastica».
Quanto è distante tutto questo dai centri abitati?
«Appena 9 chilometri da Foggia. Non è un luogo isolato o sconosciuto. È una realtà nota, ma spesso ignorata. Alcuni dicono “non andiamo lì perché ci sono i neri”».
Qual è il legame tra ghetto e caporalato?
«Sono due facce della stessa medaglia. I migranti, senza documenti né alternative, sono manodopera facile per il caporalato. Le donne si prostituiscono, gli uomini raccolgono pomodori per 7-8 euro l’ora, ma devono pagare tutto: cibo, trasporto, spesso anche la baracca in cui dormono».
Che ruolo ha la grande distribuzione?
«È complicato rispondere a questa domanda. Ma mi chiedo: chi compra pomodori a basso prezzo spesso non si chiede da dove arrivino? La passata che costa 29 centesimi è il frutto di un sistema in cui qualcuno viene sfruttato».
Ci sono state iniziative istituzionali efficaci?
«Qualcosa è stato fatto dalla Regione Puglia, ma il ghetto è ancora lì. Smantellarlo è difficile: i migranti, senza documenti, non possono affittare una casa. È un vicolo cieco, gestito solo con soluzioni d’emergenza. Servono invece soluzioni che possano prima di tutto riallocare i migranti in luoghi sicuri, e che quindi offra un’alternativa a queste persone, che al momento non hanno. Molti aiutano: Caritas, Baobab, medici di Inter SOS, sindacati – che stanno facendo tanto. Purtroppo, nonostante il loro prezioso lavoro, il volontariato non basta: servono politiche strutturali».
Cosa può fare ciascuno di noi?
«Come prima cosa pensare quando compriamo: se una passata costa 19 o 29 centesimi, dobbiamo sapere qualcun’altro sta pagando quel prezzo. È lì che possiamo fare la differenza».
Don Luigi Ciotti, come racconta Luca Pernice nella sua inchiesta, anche molti italiani sono costretti dall’indigenza a piegarsi allo sfruttamento del lavoro a 5 euro l’ora. Nelle campagne così come altrove. C’è una minaccia alla dignità del lavoro che incombe su tutti?
«Sì, lo sfruttamento non riguarda solo i migranti. Colpisce anche tanti italiani in difficoltà. È un problema trasversale: lavoro nero, paghe da fame, contratti precari. L’avanzamento tecnologico, con l’intelligenza artificiale, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori, rischia di peggiorare la situazione. Oggi il lavoro schiavo esiste anche nel nostro Paese, non solo nelle campagne».
Papa Leone ha fatto esplicito riferimento ai temi del lavoro.
«Ha scelto quel nome proprio per questo. Vuole portare un contributo concreto, riflettere su come affrontare oggi i problemi del lavoro. Perché i problemi si affrontano, ma le persone si incontrano. È un invito a mettere al centro la dignità umana».
Intanto i giovani lasciano l’Italia.
«Noi ci stiamo impoverendo. Se migliaia di ragazzi se ne vanno perdiamo la ricchezza e i percorsi inediti che i giovani hanno. L’Italia è l’ultimo paese in Europa per numero di giovani sotto i 35 anni. In alcune zone la dispersione scolastica tocca il 30%. Troppi ragazzi non studiano né lavorano: mancano opportunità, mancano visioni».
Cosa si può fare?
«Bisogna cogliere il grido dei ghetti. Bisogna cogliere il grido dei lavoratori. Serve una nuova visione del lavoro, fondata sulla dignità e sull’inclusione. Dobbiamo costruire insieme una nuova visione del lavoro. Un grande piano di investimenti per costruire dal basso dei progetti che preservino la dignità del lavoro. Tante altre cose possono aspettare. Non questa».