Qualche giorno fa ci ha lasciati un gigante, uno dei più autorevoli esponenti della cultura e della musica napoletana nel mondo, Roberto De Simone. Lui era uno che studiava e approfondiva, apprendeva, intuiva e divulgava in musica le sue geniali intuizioni. Un gigante della musica e la cultura italiana, un intellettuale del quale l’Italia intera, e non solo, deve essere orgogliosa e fiera. Figura centrale nella cultura musicale italiana, De Simone è noto per il suo ruolo di compositore, regista teatrale, musicologo e studioso delle tradizioni popolari del Sud Italia. La sua importanza per la musica italiana si articola su più livelli. Ha avuto un ruolo fondamentale nella riscoperta, valorizzazione e rielaborazione della musica popolare del Meridione, in particolare della Campania. Il suo approccio unisce rigore filologico e creatività artistica: ha saputo far dialogare la tradizione orale con il linguaggio colto, portando alla ribalta forme musicali dimenticate come villanelle, tarantelle, canti devozionali e teatrali. È celebre per opere teatrali come La Gatta Cenerentola (1976), realizzato con La Nuova Compagnia di Canto Popolare, che hanno segnato una svolta nella scena musicale italiana, mescolando il teatro musicale con la tradizione popolare in modo originale e innovativo. La sua versione della Cantata dei Pastori con Concetta e Peppe Barra. Ed è proprio Barra a ricordare il suo grande amico scomparso a 91anni.
Maestro Barra, non crede che con la scomparsa di Roberto De Simone perdiamo un monumento della musica e, più in generale, della cultura del nostro Paese?
«Certamente, perché Roberto oltre ad essere un musicista e compositore, era un etnomusicologo, un antropologo, uno scrittore e drammaturgo. Insomma, era un personaggio di grande rilievo culturale non solo a Napoli, ma in tutto il paese e anche oltre i confini nazionali, essendo anche membro dell’Università della Sorbona di Parigi (nel 1998 è stato insignito del Cavalierato delle Arti - Chevalier des Arts et des Lettres - dal presidente della Repubblica francese, ndr). Con lui si poteva parlare di tutto, era un grande affabulatore».
Il vostro sodalizio è segnato da un a stretta collaborazione artistica (ricordiamo La Nuova Compagnia di Canto Popolare), ma anche da una forte amicizia nata quando lei era poco più di un bambino. Ci racconta come vi siete incontrati?
«Premetto che gli incontri con Roberto erano sempre divertenti, con lui ridevo tantissimo. L’ho conosciuto quando ero bambino, alla Gatta Cenerentola interpretavo una matrigna virile. È stato il mio mentore e un caro amico, tutto quello che ho imparato lo devo a lui e a mia madre Concetta. Comunque, insieme abbiamo condiviso tante belle cose».
Cosa ha rappresentato in quegli anni La Gatta Cenerentola?
«Credo sia stata una rivoluzione sotto l’aspetto letterario e teatrale. I frequentatori di teatro degli Anni ‘70, non avevano visto fino ad allora metafore e cultura popolare mese in scena in quella maniera, così come non si erano mai ascoltate villanelle, strambotti e tamurriate».
Cosa ci ha lasciati?
«Un’eredità di grande rilievo come quella della sua ricerca sul mondo popolare, sulle villanelle, su quello che noi ci troviamo ne La Nuova Compagnia di Canto Popolare e tutta l’analisi che lui ha fatto insieme con grandi antropologi come Annabella Rossi, Alan Lomax e Diego Carpitella».
Grande ricercatore della musica popolare ma, allo stesso, tempo ha avuto la grande capacità di rendere tutto contemporaneo, compresa l’intuizione de La Nuova Compagnia di Canto Popolare.
«Infatti, non ha mai lasciato una Napoli oleografica, ma moderna e antica allo stesso tempo. La Nuova Compagnia è stato un modo per metterci insieme: all’inizio con uno spirito goliardico, poi abbiamo approfondito ed è diventato un gruppo importante. È stata l’inevitabile conseguenza di tutte le ricerche di Roberto».
La teatralità delle vostre performance, invece, com’è nata?
«Non dimentichiamo che Roberto era anche un grande regista teatrale. Personalmente ho apportato il mio essere attore, che lui ha saputo sfruttare quando andavamo in scena».
A quanto risale il suo ultimo incontro con De Simone e di cosa avete parlato?
«L’ho visto un mese fa, dopo il malore che l’aveva colto qualche tempo prima. Ricordo che mi voleva coinvolgere in uno spettacolo da fare a Pasqua sulla Passione ma, purtroppo, non c’è stato il tempo di realizzarlo».
Guardando alla grande fucina di artisti napoletani non solo del passato, che idea aveva di questa nuova e giovane scena?
«Lui era molto severo da questo punto di vista, aveva molte cose da dire non molto belle nei riguardi di queste nuove ondate di non cultura napoletana. Altro era Pino Daniele, ad esempio, il quale ha sempre affermato di essersi ispirato a La Nuova Compagnia di Canto Popolare. Pino è stato molto stimolato dalla nostra musica e dalle ricerche fatte da Roberto sul mondo popolare».
Lei, invece, che ne pensa?
«Non me lo chieda, non me lo chieda!».