BARI - Uno, due, tre... ed è salto. Come quando da bambini, con gli occhi chiusi per l’emozione, a pieni polmoni si respirava quella rincorsa che toglie il fiato, per spiccare il volo. Ma l’ aviazione è solo un’ illusione, come scriveva Jean Giraudoux : «Il solo volo che l’uomo abbia potuto mai realizzare fino a oggi è il salto», e arriva sempre il momento di ricadere al suolo. In quell’attimo che si fa eterno però, risiede tutta la potenza di quella alterità rigenerante dell’ infanzia. Così i detenuti del carcere di Bari, attraverso un ambizioso progetto, ritrovano speranza e voglia di reagire alla sofferenza della reclusione, grazie alla mostra Saltando Respiro - Fotografia fuori e dentro il carcere, inaugurata ieri, e visitabile fino al 31 dicembre, presso l’ex Palazzo delle Poste a Bari. Esposte le fotografie scattate nel Carcere di Bari da Daniele Notaristefano, un progetto unico nel suo genere che vede la luce grazie agli sforzi e all’ impegno congiunto di Uniba, tramite il Polo didattico universitario penitenziario, coordinato dal prof. Ignazio Grattagliano, e la casa Circondariale di Bari, in collaborazione con il Dipartimento ForPsiCom per il Centenario di Uniba.
Il frutto di un anno di attività e ricerca, in sinergia con la direttrice del Carcere la dott.ssa Valeria Piré, che ha reso possibile l’ingresso e la realizzazione delle fotografie con un gruppo di detenuti a cui, contestualmente, sono anche state affidate delle macchine fotografiche. Intensa e a tratti commovente la semiotica di suggestioni vive che, attraverso il linguaggio fotografico di Notaristefano, acquisiscono senso e colore nuovo: « Analizzando quella che per molti anni ha rappresentato la modalità fotografica scelta in ambito penitenziario, per molti scatti ho deciso di orientarmi verso le suggestioni degli anaglifi, le cui sovrapposizioni sono in grado di cogliere profondità e spontaneità del soggetto in movimento. Il rinvio al colore azzurrino e rosso delle sagome poi lascia spazio all’ immaginifico in grado di suggerire efficacemente la molteplicità di sensi che contiene. Quando si salta non è mai possibile controllare la propria mimica facciale, questo rende tutto più spontaneo ed è una sorta di liberazione anche metaforica rispetto alle gabbie imposte. Purtroppo non è stato possibile esporre alcune fotografie scattate ai membri del servizio di vigilanza del carcere.
Avremmo voluto dare voce anche al loro difficile, e spesso mal compreso, punto di vista». All’interno della sala circolare dell’ex Palazzo delle Poste è stata ricostruita una cella dove sono esposte anche vibranti poraloid dal valore catartico: tra spavaldi e improvvisati abbracci di compagni di cella, e spazi di ambienti che sembrano ingigantiti a dismisura, spiccano le note di colore di una tappezzeria improvvisata:« I luoghi concessi per gli scatti sono stati tre: il cortile, la biblioteca e un corridoio, a cui si aggiungono immagini decisamente significative del reparto femminile inutilizzato da anni. Un’esperienza che ci ha davvero toccati nel profondo, soprattutto perché siamo venuti a contatto con una realtà di sofferenza che può essere senz’altro vista con occhi diversi. La fotografia poi è un mezzo artistico immediato ed accessibile a tutti.
La fierezza di questi ragazzi, le loro pose alla Gomorra, rappresentano un messaggio che va oltre la colpa, l’orrore e la grigia vita da reclusi. La via di fuga verso una libertà, innanzitutto di pensiero, che può costituire la vera salvezza, e fare la differenza. Interessante è stato scoprire quelle tracce di luoghi del carcere ormai dismessi, che ci hanno ricondotto alla dimensione vissuta da chi li ha abitati.” Spiega la prof.ssa Attimonelli, docente di studi visuali e cultura digitale e curatrice della mostra.