di Marco Mangano
La Puglia delle mille contraddizioni. Nella terra degli ulivi si grida allo scandalo quando se ne dispone lo sradicamento per fermare l’avanzata della Xylella Fastidiosa e salvare il patrimonio olivicolo sano, ma - in modo del tutto incomprensibile - non si fa altrettanto di fronte all’impennata delle compravendite di alberi monumentali, che «emigrano» dalla regione verso case e ville di estimatori del Nord Italia, disposti a scucire cifre da capogiro (fino a 20mila euro a pianta). Si proteggono, insomma, non i custodi del territorio pugliese, le «casseforti» del suo Dna, ma i commerci ignobili, con tanto di sradicamenti. E la cosa si fa ancora più grave se si considera che gli alberi monumentali sono tutelati da un decreto regio di inizio Novecento e dalla legge regionale 14 del 2007, unica in Italia e assolutamente innovativa perché dispone il censimento degli ulivi, secondo cui è stato stilato un elenco di 300.059 esemplari classificati come «monumentali».
La mancata e tempestiva rimozione dei focolai di Xylella Fastidiosa (che dissecca le piante uccidendole) sui primi 8mila ettari interessati, ci ha consegnato l’attuale mappa del contagio.
Zone infette: l’intera provincia di Lecce e quella in cui ricade il focolaio individuato nelle campagne di Oria.
Zone cuscinetto (larga 10 km): attorno alla zona infetta di Oria e l’area (larga 10 km) al confine con la provincia di Lecce.
Zona di sorveglianza: l’area (larga almeno 30 km) adiacente alla zona cuscinetto della provincia di Lecce.
«Gli ettari olivetati tra Lecce, Brindisi e Taranto - ricorda il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele - che per approssimazione al momento risultano compromessi dalla batteriosi sono 140mila. La malattia, oggi riconosciuta anche da chi in modo irresponsabile ne ha sempre negato l’esistenza, avanza in maniera inesorabile. È disastrosa la stima del direttore del dipartimento Agricoltura della Regione Puglia, Gianluca Nardone: oltre 10 milioni di piante infette per un danno di gran lunga superiore al miliardo di euro. Ci sono agricoltori senza reddito da anni, ai quali vanno date risposte immediate e ineludibili».
Le circostanze incomprensibili della Puglia non finiscono qui. Il primo piano Silletti (allora commissario delegato del governo per contrastare l’emergenza della batteriosi) prevedeva l’abbattimento selettivo di 156 ulivi infetti nella zona di sradicamento. Il secondo piano Silletti disponeva l’espianto di circa 3.103 alberi: operazioni dolorose (e sottolineiamo dolorose), ma utili a fermare il dilagare della fitopatologia. In entrambi i casi, le operazioni sono state inibite anche con metodi poco ortodossi. In questo scenario, dunque, lascia a dir poco perplessi il numero di autorizzazioni - rilasciate dagli ispettorati provinciali all’Agricoltura - all’espianto di ulivi che si aggirano sulle 100mila l’anno e che avvengono senza che nessuno proferisca parola. Nel dettaglio, è stato dato il via libera allo sradicamento - per motivi che nulla hanno a che vedere con la Xylella - di 34mila ulivi a Lecce nel 2014 e 2015 e di 12mila in provincia di Brindisi nel 2014. Solo per citare alcune cifre. Molteplici i motivi: dalla trasformazione aziendale, a malattie di vario genere.
«Abbiamo assistito inermi - denuncia Antonio Pascali, olivicoltore di Vernole, nel Leccese - a un disseccamento veloce e inarrestabile. Oggi la Puglia è divisa in due aree: una a Nord, per fortuna lontana dal fronte della batteriosi, ma che “guarda” con preoccupazione alla veloce evoluzione della patologia. Una a Sud, considerata il cratere del dramma dove ormai non si contano le aziende annientate dal disseccamento degli ulivi, che non producono reddito da tre campagne. A breve a queste imprese se ne aggiungeranno molte altre in cui, su alcune piante, si cominciano a cogliere i primi rapidissimi segni di disseccamento. Molti i vivai e i frantoi cooperativi e privati prossimi al collasso per mancanza di prodotto da lavorare».
Gli incomprensibili atteggiamenti che caratterizzano in maniera virale il tema «ulivi» in Puglia fanno il paio con quanto sta accadendo nelle ultime ore. Acquedotto pugliese «batte» Tap 211 a 2.500. Circa un anno fa furono espiantati 2.500 ulivi tra Leverano, Nardò, Galatone e Porto Cesareo, già dichiarata zona infetta, fatti giacere in un vivaio per il periodo utile a realizzare le condutture del Sinni, con buona pace di tutti. Niente proteste, incatenamenti, guerriglie: le operazioni di sradicamento e di reimpianto sono state compiute in sordina.
Intanto, il panorama del disseccamento allarga il fronte sempre più a Nord e tremano gli olivicoltori di Bari. «La lotta all’insetto vettore è il punto centrale per ottenere il rallentamento dell’avanzata della malattia verso Nord. Noi abbiamo l’onere di fare la nostra parte, con elevato aggravio dei costi - dice Carlo Barnaba, olivicoltore di Monopoli, nel Barese - ma al contempo va imposta la pulizia delle aree demaniali e dei bordi di strade comunali, provinciali, statali e delle autostrade, richiamando alla responsabilità le amministrazioni pubbliche, anche attraverso precisi accordi con l’Anci».
L’olivicoltura pugliese è caratterizzata da una vasta gamma di varietà, si arriva a contarne circa 53. Nel territorio sono presenti le varietà con maggiore consistenza in termini di superficie occupata. La principale è la «Coratina» che occupa circa 90mila ettari (pari all’8% del totale nazionale), seguono in ordine di importanza l’«Ogliarola Salentina», la «Cellina di Nardò» e l’«Ogliarola Barese». La speranza è che, dopo lo studio diffuso dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), la Commissione Ue consenta il reimpianto di specie resistenti. Per dare una speranza di futuro a chi in questi tre anni ha perso alberi, olive e reddito.