Katia e i suoi due figli, Carlo e Andrea, oggi di 10 e 19 anni, sono tornati a casa dopo cinque anni. Dopo quella sera in cui Giuseppe Mizzi, Pino come lo hanno sempre chiamato in famiglia, è stato ucciso a pochi passi dal portone, non hanno più avuto il coraggio di entrarci. In quella casa che con tanti sacrifici Pino e Katia avevano comprato dopo il matrimonio e che ancora oggi conserva ricordi e tracce di lui. La scala in legno fatta la sera dopo il lavoro, le mensole dell’armadio della cameretta dei ragazzi, l’impianto karaoke che Pino usava per cantare la domenica mattina. Le foto di Giuseppe sono ovunque in casa. Ad aprile scorso, dopo più di cinque anni, Katia ha deciso di tornare lì. «Ora sento che è lui a darmi la forza» dice.
Attorno al tavolo del soggiorno, dove la famiglia Mizzi ci ha accolti, ci sono il fratello di Giuseppe, Angelo, con la moglie Nicla, la mamma Lucia, e poi Katia con Carlo.
vittima per caso dell’agguato mafiosoIl dolore di questi anni per l’assenza di Giuseppe, ucciso per errore nel marzo 2011 durante un agguato mafioso a soli 38 anni, a qualche decina di metri da casa sua, in via Venezia a Carbonara, dove in sua memoria c’è una targa sul muro, si aggiunge alle delicate scadenze processuali che ancora una volta metteranno a dura prova la sua famiglia.
Il prossimo 4 novembre nell’aula bunker di Bitonto sarà emessa la sentenza di primo grado nei confronti del presunto mandante del delitto, il pregiudicato Antonio Battista del clan Di Cosola che rischia l’ergastolo, e a fine mese, il 29 novembre, è fissato in Cassazione il processo a carico degli esecutori materiali, Emanuele Fiorentino ed Edoardo Bove, già condannati in appello rispettivamente a 20 anni e a 13 anni e 4 mesi di reclusione.
presidio per strappare i ragazzi alla strada E mentre la giustizia fa il suo corso, la famiglia Mizzi è decisa a fare di questa tragedia l’inizio di un percorso «perché cose come questa non accadano più» dice Angelo. La loro idea è creare a Carbonara, dove «per i giovani e i bambini non c’è niente che li tolga dalla strada» dicono, un presidio dedicato a Giuseppe e a Gaetano Marchitelli, altra vittima innocente di mafia, ucciso nel 2003 nello stesso quartiere alla periferia di Bari a soli 15 anni.
«Non intendiamo abbassare la testa - dice Angelo Mizzi - dobbiamo fare memoria, ricordare Pino con progetti seri che siano davvero costruttivi, concreti come era lui. Vogliamo fare rete per salvare tanti ragazzi dalla strada».
E poi l’appello alle istituzioni che «ci hanno abbandonati», dicono. «Avevamo bisogno di aiuto e sostegno, anche psicologico, per affrontare tutto questo. Da un giorno all’altro, senza un motivo - dice Katia con gli occhi che le si riempiono di lacrime - mio marito è finito al cimitero e io sono rimasta sola con due bambini. Mi sono dovuta rimboccare le maniche, lavoro come assistente ad una signora anziana ma riesco a portare avanti questa famiglia solo con l’aiuto di mia madre e mia suocera. E poi nelle fasi del processo ci saremmo aspettati più sostegno. Non è facile trovarsi faccia a faccia con gli assassini di tuo marito senza una mano sulla spalla».
I racconti dolorosi si alternano ai ricordi felici. «C’era tranquillità nella nostra famiglia. - dice Katia - Mio marito era una persona positiva, piena di risorse. In casa aggiustava tutto, lavorava il legno con grande passione. Diceva sempre che avrebbe voluto studiare e per questo diceva ai suoi figli di impegnarsi a scuola. E poi amava cantare. Era un po’ stonato ma con il microfono ci faceva tanto ridere quando cantava le sue canzoni preferite a squarciagola».
il karaoke della domenica mattina«Besame mucho - dice Carlo con un filo di voce -. Ricordo che cantava sempre quella canzone». Carlo all’epoca aveva solo 4 anni e mezzo e nei suoi disegni di quel periodo, fatti all’asilo, sono racchiuse le emozioni e i ricordi del padre. «Un cuore di tutti i colori» portato via da uomini cattivi.
Ucciso per sbaglio sotto casa

Bari, la vedova nella casa dei ricordi in cui non ha messo più piedi dal 2011
Domenica 30 Ottobre 2016, 10:08