«Basta con l’import selvaggio». La Puglia del grano sembra avere esaurito la pazienza: non è più disposta ad assistere impotente al crollo verticale dei prezzi e al via vai di navi straniere nel porto di Bari. Cia e Coldiretti vivono una fra le estati più calde sul fronte delle proteste. L’Eldorado del grano, la Daunia, si è trasformata in una distesa in cui regnano rabbia e amarezza.
Una speculazione da 145 milioni di euro ha colpito il settore regionale: a tanto ammontano le perdite subite dagli agricoltori del «granaio d’Italia» per il crollo dei prezzi rispetto allo scorso anno, senza alcun beneficio per i consumatori.
«In un anno le quotazioni del grano duro per produrre pasta - denuncia Andrea Suriano, imprenditore cerealicolo di Foggia - hanno perso il 43%. Per il tenero destinato alla panificazione il calo del prezzo è stato del 19%. Il nostro prodotto, in pratica, non vale più nulla, eppure sono certo che si possa fare pane e pasta con solo grano pugliese». Una Caporetto, insomma, senza precedenti con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa. Sia chiaro: è lecito importare, non altrettanto spacciare il cereale per italiano: è questo il nocciolo della questione.
La Coldiretti di Puglia punta l’indice contro la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. A pesare sono le importazioni in chiave speculativa che si concentrano nel periodo a ridosso della raccolta e che influenzano i prezzi delle materie prime nazionali, anche attraverso un mercato non sempre trasparente. Non a caso nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10%, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato interno attraverso un eccesso di offerta. «Chiediamo risposte immediate, quali l’etichettatura obbligatoria della pasta, del pane e dei prodotti da forno in genere, il blocco delle importazioni “a dazio 0” e il 100% dei controlli sul grano importato, la moratoria bancaria ed interventi finanziari per le imprese cerealicole, l’attivazione immediata della Cun (Commissione unica nazionale, ndr) cerealicola e sostegni pubblici solo alle imprese che lavorano grano italiano», mette le cose in chiaro il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele.
Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del made in Italy, mentre dal cereale alla pasta i prezzi aumentano del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1.400%.
Il prodotto estero che sbarca nei porti nazionali, al contrario di quello italiano, ha spesso alle spalle tempi lunghi di trasporto e stoccaggio. «Oggi il grano duro per la pasta - dice Domenico Carone, cerealicoltore di Altamura, nel Barese - viene pagato 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura a 16 centesimi, su valori al di sotto dei costi di produzione. Siamo invasi da enormi quantitativi stranieri, come quelli canadesi. La raccolta - spiega - avviene in settembre e, quindi, il prodotto che arriva in Italia è già vecchio di un anno, mentre il nostro è stato appena raccolto».
Le stesse analisi ministeriali hanno anche permesso di smascherare la speculazioni in atto sul prezzo dei grano, che colpisce soprattutto i coltivatori italiani con i prezzi del grano duro che si sono in pratica dimezzati rispetto allo scorso anno.
Molto dura la linea assunta dalla Cia di Puglia. «La questione relativa al crollo del prezzo corrisposto ai produttori è ancora lì, in tutta la sua drammaticità», spiega il direttore regionale della confederazione, Danilo Lolatte. «L’immissione nel mercato di ingenti quantità di grano importato - aggiunge - ha provocato il tracollo dei prezzi, aumentando a dismisura il già ampio divario tra costo del frumento e prezzi di pane e pasta. Nell’ultimo anno nei porti pugliesi sono arrivati oltre 2 milioni di tonnellate di cereale estero. I produttori - denuncia Lolatte - continuano a essere oggetto di un’azione di speculazione che non ha precedenti, con il grano duro pagato 18 euro al quintale, largamente al di sotto dei costi produttivi, e con perdite fino al 50% sulla scorsa campagna. Il prezzo nel 2016 è, in sostanza, lo stesso pagato 25 anni fa. Oggi 100 chili di frumento valgono 5 chili di pane: un’assurdità».
«Il rischio concreto - lancia l’allarme - è che in queste condizioni gli agricoltori pugliesi non seminino nella campagna 2016-2017. Questa situazione rischia di mutare per sempre il sistema produttivo delle aree pugliesi vocate alla cerealicoltura. È necessario - avverte - incentivare subito accordi e contratti di filiera capaci di garantire una più equa redistribuzione del valore. Bisogna mettere in atto le misure previste dal nuovo Piano cerealicolo: non sono più rinviabili. È indispensabile - conclude il direttore regionale della Cia - bloccare le importazioni».