di LIA MINTRONE
Se di notte, quando la luna è alta nel cielo stellato, sentite in lontananza il suono di malinconiche chitarre che strimpellano struggenti e nostalgiche note nelle quali Pablo è sempre vivo, nonostante lo abbiano ammazzato, e «un treno tutti i giorni passava per la sua stazione, un treno di lusso, lontana destinazione», mentre c’è chi grida a squarciagola che ha sempre odiato i porci ed i ruffiani e quelli che rubavano i salari... ecco fermatevi un attimo. Tutto vi sembra così fuori dal tempo? Non sapete dove siete? Ve lo diciamo noi. Semplicemente benvenuti in Valle d’Itria, terra rigogliosa e magica, la selva oscura che gioca a cavallo di tre province, Bari, Brindisi e Taranto, località amata da moltissimi baresi che, ormai da decenni, vengono qui e si godono notti stellate davanti ai trulli.
Su alcuni di quei coni, i simboli magici di un tempo si sono trasformati in tante falci e martello. Ah, attenzione, non è che da queste parti però manchi il cachemire, anzi, ce n’è ce n’è. Come ti difendi da certe sere freschissime come solo la Valle d’Itria sa regalare in estate?
È qui che nella calda stagione delle vacanze si ritira quell’intellighenzia, quella sinistra salottiera, gli ultimi nostalgici sessantottini fermi al 18 agosto del 1969 in quel di Woodstock, quelli con il cuore rimasto nell’isola di Wight, che hanno sempre una chitarra scordata nell’armadio e un plettro colorato da stringere tra le dita nelle serate davanti alla brace dove brillano croccanti bombette e sanguinolente zampine.
È questo il ritrovo cult dei figli dei fiori con lunghi camicioni colorati e di pizzo Sangallo di Cisternino, quelle che nella scarpiera non avranno mai un tacco 12 ma quasi esclusivamente sandali in cuoio rigorosamente fatti a mano a Positano, le donne dalle collane etniche e dai capelli scompigliati, avvolte in un trionfo colorato e multietnico di borse di paglia senza griffe ma di gran pregio, di vecchie stuoie e di pashmine indiane attorno al collo. Semplici e ridenti fuori, ma spesso con grandi conti in banca. Che meraviglia questo festoso e nostalgico popolo fermo agli anni Settanta. In alcune contrade, quelle amate dagli inglesi e dai tedeschi, la parola d’ordine è «non confondersi con quelli che affollano le popolari spiagge della costa sottostante». Al mare si va poco e solo in zone appartate, le pelli sono perlacee e gli abbronzanti di inaudita volgarità. Le giornate, per certi baresi che scelgono la valle d’Itria, iniziano presto, al canto del gallo. Appunto. Qui si seguono le leggi e i tempi della campagna, mica del mare. I trulli hanno il sapore delle vecchie comuni, si dorme in tanti, in assoluta informalità, sono aperti a tutti, con un continuo viavai di gente. Le colazioni sono rigorosamente biologiche, difficilmente sarà possibile trovare merendine in queste aie. Tutti i prodotti sono della terra, coltivati negli orti circostanti o acquistati dal massaro confinante. La farina di kamut, il pane arabo, le gallette di riso, le marmellate fatte in casa, le frise sponzate in acqua e innaffiate dal pregiato e impareggiabile olio pugliese, i pomodori che profumano di campagna, il basilico coltivato a cespugli, così come tutte le altre spezie mediterranee, in un tripudio di tovaglie quadrettate e campagnole.
E dopo queste salutari e colorate colazioni, tutti rigorosamente a leggere, sotto gli alberi di fico e di ulivo, mentre intorno le cicale friniscono impazzite prima di scoppiare e ti dicono che la temperatura ha sfondato i quaranta gradi. Sulle vecchie sdraio in legno a strisce di tela colorata, amate da Vettriano e struggentemente vintage, si inumidiscono le dita e si sfogliano importanti tomi. Non scherziamo, mica la narrativa pret –à- porter da ombrellone della costa ai piedi di Ostuni. «Il Capitale» di Marx è un must ma si riprende volentieri tra le mani anche «Guerra e pace». Gli scrittori russi vanno sempre forte così come Cesare Pavese, Elsa Morante per arrivare a « Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta» di Pirsig e «On the road» di Kerouac. Ma sono amici di infanzia, e sempre evergreen, anche Siddharta ed Hesse visti da una prospettiva Nevski così come «Il gabbiano Jonathan Livingston». Ed è un attimo imbattersi in «Che fare» di Lenin e in «Porci con le ali». Insomma, qui si legge, mica ci si abbronza e si gioca a racchettoni. Queste volgarità si lasciano ad altri, ai villaggi marini sottostanti. E dopo lunghe immersioni tra pagine ricche e complesse, nel pomeriggio, se c’è tempo, si può sempre fare un salto nelle comunità spirituali e indiane di Cisternino immergendosi tra tuniche, saluti al sole che muore e canti catartici.
Ed è subito sera. E arriva il momento delle braci, del fuoco, delle carni che ardono, dei vini rossi che scorrono a fiumi e ovviamente delle chitarre e dei plettri. Perché chi ama questa terra magica, mistica e dallo spirito vintage, deve dimenticarsi delle bassezze popolari. A tutte le ore, giorno e notte, sulle aie assolate di giorno e fresche di sera, qualuno ama parlare dei massimi sistemi, esistenziali, politici ed economici. E quando le cicale lasciano lo spazio ai grilli, è facile sentir risuonare nella valle che el pueblo unido jamàs serà vencido. Mentre sulle spalle si poggiano morbidi maglioni di cachemire con tanti, tantissimi fili. Perché di notte, qui, fa freddo, e viene spontaneo chiedersi quanto sia difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire.