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Petrolio, lo stop in Val d'Agri
già costato 1 miliardo di euro

 
Luigia Ierace

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Luigia Ierace

centro oli di Viggiano

Gli effetti del fermo dell'impianto Eni di Viggiano. A picco la produzione nazionale di greggio (-51,6%) e gas (-16,2%)

Sabato 23 Aprile 2016, 09:52

25 Aprile 2016, 17:14

Un tracollo della produzione nazionale di idrocarburi. È quello che si profila in Italia con lo stop al Centro Olio Val d’Agri. A impianti fermi dal 31 marzo, con estrazioni di petrolio e gas pari allo zero, le stime per il 2016 vedono un calo a picco della produzione italiana di greggio pari al 51,6% e una flessione di quella di gas del 16,2%, se dovesse protrarsi il blocco fino alla fine dell’anno. Il che si traduce in una perdita economica, a cascata per il Paese e con ripercussioni a catena sui territori. «Una mancata produzione di idrocarburi - sottolinea Tavide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia - per oltre 1,1 miliardi di euro, perdita che potrebbe aumentare di un 30% in caso di un ritorno veloce della quotazione del greggio ai valori degli anni passati. Tenendo conto di un prezzo del petrolio allineato a quello del 2015, pari a 47 euro a barile (343 euro a tonnellata) si avrebbe una perdita per mancata produzione pari a circa un miliardo di euro. E di circa 170 milioni di euro per il gas (0,15 euro a metro cubo)».
Ma vediamo cosa succederà al 31 dicembre 2016, se nei prossimi mesi non ripartiranno gli impianti. E dalle ultime dichiarazioni di Eni sull’«impossibilità a proseguire le attività» (si veda altro pezzo in pagina) le prospettive non sembrano incoraggianti.
i numeriIn base ai dati pubblicati dal Ministero dello sviluppo economico, nel 2015 la produzione nazionale di petrolio è stata di 5,46 milioni di tonnellate (4,70 su terraferma) e quella di gas di 6,88 miliardi di metri cubi (2,35 su terraferma), già in calo rispetto alla produzione del 2014. Nel 2016, se la produzione in Basilicata si fermasse a quella dei primi tre mesi (797 mila tonnellate) di petrolio, stimando una produzione media mensile in Val d’Agri di 313 mila tonnellate, l’eventuale sospensione delle attività estrattive per i nove mesi del periodo aprile-dicembre 2016, comporterebbe una mancata produzione di circa 2,82 milioni di tonnellate, con una riduzione del 51,6% della produzione nazionale di olio che passerebbe da 5,46 a 2,64 milioni di tonnellate. Occorre ricordare che la produzione lucana incide su quella su terraferma per il 79,8% con una perdita che salirebbe al 59,9%. A risentirne anche la produzione nazionale di gas. Seppur modesta nel computo nazionale complessivo, quella lucana incide su quella relativa alla sola terraferma per il 63,3%, la previsione di mancata produzione in Val d’Agri è pari al 47,4%.
perdita economica Ma quanto vale la mancata produzione per il Paese?
«La previsione è legata alle oscillazioni di mercato e al prezzo del greggio - spiega Tabarelli - e con un valore medio al barile così basso come si profila anche quest’anno, la perdita supererà il miliardo di euro. Mancati introiti che incideranno anche sul Pil, con effetti evidenti soprattutto in Basilicata. Ammontano a quasi 400 milioni di euro, le risorse che restano in regione e incidono sul Pil lucano (11 miliardi) per un 2-3%. E questo vuol dire mancati investimenti, meno occupazione, meno stipendi, economia locale che si contrae».
La mancata produzione nel 2016 produrrebbe i suoi effetti anche sulla tassazione con minori entrate fiscali per lo Stato. «Il mancato gettito per il Paese sui profitti delle compagnie petrolifere - secondo Tabarelli - potrebbe essere stimato cautelativamente intorno ai 100 milioni di euro». Si aggiungono le minori royalty versate a Regioni e Comuni (10% della perdita per mancata produzione). Da rilevare che gli effetti più marcati del calo delle royalty non si vedranno nel 2016, perché le compagnie petrolifere quest’anno verseranno i proventi relativi all’intera produzione del 2015 sulla quale ad incidere sarà soltanto l’abbassamento del prezzo del greggio che determinerà una flessione del 30%. Ma sarà a fine giugno 2017, il vero e proprio baratro per le casse di Regioni e Comuni, per le quali si verificherà il minor gettito determinato dalle produzioni di soli tre mesi, se il fermo impianti dovesse perdurare.
Ma il Paese come compenserà la mancata produzione nazionale? «Dovrà farlo - spiega Tabarelli - con una maggiore importazione dall’estero per un valore di oltre un miliardo di euro e comunque legato all’andamento economico del mercato. Effetti sulla Basilicata ma anche sulla Puglia e, in particolare, sulla raffineria di Taranto. Può resistere ancora importando il greggio via nave, ma a lungo andare potrebbe avere difficoltà. È una raffineria che era riuscita a migliorare la propria redditività - continua Tabarelli - proprio perché lavorava il greggio della Val d’Agri. In futuro, se i margini di raffinazione tornassero normali, molto più bassi dei valori attuali la raffineria sarebbe a rischio. Attualmente, infatti, i margini di 4 dollari a barile consentono di sopportare l’aggravio di costo legato all’arrivo di petroliere (4-5 dollari in più al barile). Ma se il maggior costo dovesse trasformarsi in mancato guadagno ci sarebbero ripercussioni economiche». In ogni caso, anche con l’arrivo delle petroliere non si potrebbe mai compensare la mancata produzione della Val d’Agri. «E a lungo andare - continua Tabarelli - senza l’apporto lucano, la raffineria di Taranto rischia la chiusura. È già successo per Marghera, Mantova, Cremona, Roma, Gela. Quella di Taranto non ha chiuso solo grazie al greggio della Val d’Agri».
prezzo dei carburantiLe petroliere salvano la raffineria, almeno per ora, ma il maggior prezzo al barile per importazione peserà inevitabilmente sui costi dei carburanti dell’Adriatico. «È destinato ad aumentare di 2 -3 centesimi di euro a litro - spiega Tabarelli - per i maggiori costi logistici, proprio in Puglia e Basilicata. In queste regioni gli importi sono più alti rispetto a quelle del Nord dove c’è più capacità e offerta».
«Ma la perdita più grande di uno stop produttivo - conclude Tabarelli - è che in questo Paese è quasi impossibile fare industria, quella difficile, sofisticata, complessa e ad alto contenuto tecnologico. Peccato perché la tecnologia va anche a beneficio dell’ambiente».

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