di MIMMO SAMMARTINO
POTENZA - Basilicata controcorrente per il voto al referendum del 17 aprile. Non soltanto per il quorum raggiunto (unica regione in Italia) con quel suo 50,16 per cento di affluenza alle urne. Non solo per quel 96,4 per cento di “sì” al quesito referendario (con punte “bulgare” come quella del 98,32% a Castronuovo Sant’Andrea, in provincia di Potenza), a fronte di un “no” relegato a quota 3,6 per cento.
Tutto ciò evidenza un disagio e una forte preoccupazione che ha trovato, come unica espressione per manifestarsi, il voto in una Basilicata che fatica a sentirsi “Saudita”. Regione a perenne rischio smembramento. Luogo che, per l’acuto telecommentatore Marcello Sorgi, è solo «una terra desolata», spopolata e con i pochi superstiti «dediti alla pastorizia». E, seguendo quel ragionamento fondato su stereotipi e limpido pregiudizio, per questa stessa sua residualità, non meritevole di considerazione in materia di aspettative e anche di diritti di cittadinanza.
Il messaggio che dalla Basilicata, e dal risultato del suo voto, viene lanciato a politica e classi dirigenti, invece, appare abbastanza univoco. La strada del petrolio è percepita come un percorso pieno più di minacce che di opportunità e di concreti benefici per le comunità locali. Poco lavoro, molte paure. Un po’ complicato ridurre questo diffuso sentire a reazione isterica di «quattro comitatini» in vena di fare baldorie.
Il primo elemento da osservare è quello relativo alla funzione trainante che, in questo voto, hanno svolto le due città lucane: Potenza con il 58,06% di votanti (96,55% di “sì”) e Matera col 57,44% di affluenza alle urne (97,39% i “sì”). È questo un aspetto significativo e non scontato in un territorio che, tra spopolamento galoppante e spoliazioni (di servizi, enti e istituzioni) in corso, si ritrova ogni giorno un po’ più sfilacciato. I due capoluoghi hanno fatto da riferimento a un comune sentire delle popolazioni.
Una riflessione a parte va fatta rispetto ai “santuari” del petrolio. Ma anche in questo caso il dato merita di essere analizzato nelle sue sfaccettature. Indubbiamente c’è stata una sostanziale diserzione delle urne in Val d’Agri, con il minimo di partecipazione (il 29,16% degli aventi diritto al voto) a Corleto Perticara, paese investito dal recente ciclone giudiziario nell’inchiesta petrolio & C. (la ex sindaco Rosaria Vicino si trova tutt’ora agli arresti domiciliari).
E l’oscillazione nei vari centri della zona ha mantenuto livelli sostanzialmente bassi. Il tetto di affluenza più significativa si è raggiunto a Montemurro (48% di votanti, con il 95,18% di “sì”). Mentre Viggiano si è fermato a un magro 37,04% (91,03% di “sì”).
Un risultato che può spiegarsi, magari, con il fatto che, in quelle aree, l’industria dell’energia ha portato qualche vantaggio più evidente nell’economia locale (a cominciare dagli alberghi e dai ristoranti riempiti dal personale delle compagnie). Ma si potrebbe anche riflettere sulla difficoltà a esercitare in modo pienamente libero il voto, visto che esso era privato del requisito della segretezza (il fatto stesso di recarsi al seggio costituiva, stavolta, una esplicita dichiarazione di volontà).
Ma non c’è stato solo questo. Un’altra capitale del petrolio lucano, Gorgoglione, centro della Valle del Sauro in provincia di Matera, sede di Tempa Rossa, ha visto recarsi alle urne il 54,66% dei propri elettori (95,56% di “sì”). E ancor più marcata appare la volontà espressa dai cittadini di Brindisi Montagna, centro che sorge alle porte di Potenza e che è interessato dalle trivelle in un’area denominata Montegrosso. Qui è stato raggiunto il primato regionale della partecipazione: si è recato alle urne infatti il 61,61% degli aventi diritto. I “sì” sono stati il 97,3 per cento. Si votava per i termini delle concessioni delle trivelle in mare. I lucani lo hanno interpretato come qualcosa di più.