Appartamenti, ville, capannoni, box, garage, terreni sia agricoli che fabbricabili ma, anche, cambiali, libretti al portatore, oppure autoveicoli e natanti.
È il «tesoretto» sottratto alla disponibilità delle mafie, delle varie forme di criminalità economica e finanziaria (dal riciclaggio all’usura, dal caporalato alle ecomafie) e di corruzione e, poi, attraverso un iter definito da una legge ad hoc (la n.109 del 1996), affidato agli enti locali o altre amministrazioni dello Stato affinché vengano riutilizzati rigorosamente con finalità sociali e ad uso della collettività.
In Puglia dal 1982 ad oggi sono stati confiscati 2.629 beni immobili: di questi il 58% è stato destinato dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali, mentre oltre il 40% rimane ancora da destinare. Tanti, troppi. In pratica bisogna ancora capire cosa farne: se venderli o liquidarli, abbatterli in alcuni casi o se assegnarli ad associazioni del terzo settore. Molte amministrazioni comunali dicono di non sapere nemmeno se nel loro territorio esistano beni sotto sequestro.
E anche quando lo sanno, spesso non conoscono le finalità cui possono essere destinati e qual è la strada da seguire per arrivare a utilizzarli.
Secondo quanto riporta il dossier «Fattiperbene» di Libera, che fotografa il riutilizzo sociale dei beni confiscati in Italia, in Puglia i beni immobili destinati (sono quelli per i quali le procedure sono giunte al termine e dunque è stato possibile procedere alla destinazione, sia per finalità istituzionali sia per finalità sociali) sono 1.535 mentre quelli in gestione sono 1.094.
La provincia di Bari risulta quella con il maggior numero di beni confiscati, 495, e 211 ancora da destinare; segue la provincia di Brindisi con 452 beni destinati e 95 ancora da destinare. La provincia di Lecce è quella con il maggior numero di beni confiscati da destinare (265).
Per quanto riguarda i beni destinati, la destinazione non implica necessariamente l’avvenuto riutilizzo sociale. Sono frequenti, purtroppo, casi in cui, in particolare gli Enti Locali, sebbene i beni siano stati trasferiti al loro patrimonio indisponibile, non riescono a garantirne un tempestivo riutilizzo per finalità sociali. Don Ciotti, fondatore di Libera, parla di «una debole capacità di gestione, la presenza di varie forme di criticità sullo stato dei beni, un raccordo insufficiente tra fase giudiziaria e amministrativa, una trasparenza delle informazioni ancora parziale, una difficoltà a mettere in atto una concreta progettualità sostenibile».
Sono, invece, 112 le aziende confiscate destinate e 109 quelle in gestione. Anche qui la provincia di Bari risulta quella con maggior numero di aziende già destinate alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse (34) mentre sono 35 quelle ancora in gestione presso l’Anbsc.