«Il discorso di Putin si basa su riferimenti storicamente imperiali».
A cosa si richiama?
«Mi ha ricordato il discorso di Ivan il terribile all’incoronazione. Il sovrano disse “nella nostra terra nascono i nostri fiumi, ma muoiono in terre nemiche. Dobbiamo da oggi ritenerci possessori anche di quelle terre…”. Non è un discorso occidentale, ma per Putin è normale questa visione. Considera dunque possibile che in un futuro prossimo l’Ucraina torni - come nell’epoca zarista - parte di un impero zarista».
Marco Caratozzolo, professore associato di slavistica, insegna lingua e letteratura russa nella facoltà Lingue dell’Università di Bari e alla Gazzetta spiega sintonie e dissonanze culturali tra ucraina e russi mentre venti di guerra aleggiano nell’est Europa.
Torna la prospettiva imperiale di Mosca?
«La Russia di fatto ha una impostazione che si ispira alla grande visione imperiale zarista, nel bene e nel male. Questa impostazione non dà rassicurazioni all’Europa, anche perché l’Ue non sa bene come reagire. Le sanzioni sono certo giustificate, ma rischiano di appesantire più chi le commina di chi le subisce, poiché la Russia ha dimostrato di poterle affrontare perseguendo la propria politica estera, programmata da Putin e Lavrov in continuità negli ultimi trent’anni».
Sul piano culturale la letteratura russa è per certi versi sovrapponibile a quella ucraina?
«Sono più gli elementi in comune che quelli di distinzione. La letteratura russa è nata nella stessa terra. Gogol lo definiamo russo, ma è nato a Mirgorod nell’attuale ucraina. La differenza tra cultura russa e quella di Kiev un tempo non si sentiva, ma la storia ha preso un verso che non immaginavamo».
Ora c’è uno spirito nazionale ucraino ben definito.
«Ci sono autori ucraini filo-occidentali che scrivono in ucraino e denunciano le ingerenze russe e la situazione critiche di questi giorni».
Cresce l’ostilità culturale verso Mosca?
«L’Ucraina è il territorio da cui venivano i cosacchi, per eccellenza i soldati della libertà. La Russia li ha utilizzati a volte come mercenari, altre volte li ha combattuti. Non dimentichiamoci nemmeno che molte rivolte venute dal territorio ucraino hanno messo in pericolo il regime dello Zar, come nel caso della rivolta di Pugacev. In era sovietica il potere si è macchiato dell’Holodomor, la carestia ucraina, sentita come una ferita dalla popolazione. Poi sul piano etnico la repubblica guidata da Kiev ha intere zone russofile e russofone. Nelle repubbliche popolari di Lugansk e Donesk, la lingua ucraina non è più diffusa, anche se questo non è un elemento che può giustificare delle offensive militari».
Nella Seconda guerra mondiale e al tempo della Primavera di Praga ci furono sostegni ucraini alle mobilitazioni antisovietiche.
«Certo, ma per motivi economici Kiev si è sempre appoggiata alla Madre Russia. Ora il quadro è ben differente».
Sono molto diverse la lingua russo e quella ucraina?
«Sono due idiomi slavi orientali, di fatto non sono molto distanti, come l’italiano e lo spagnolo. Un ucraino comprende il senso del russo e viceversa».
Scrittori russi come Zakhar Prilepin interpretano lo sciovinismo russo anche presenziando fisicamente nelle repubbliche separatiste, sull’esempio di Limonov e anche, nel passato di Gabriele D’Annunzio.
«È la capacità di sentirsi in prima linea. Dobbiamo tenere presente che molti scrittori assumono una maschera. Non è chiaro finché abbraccerebbe il fucile, ma accarezzano lo sciovinismo».
La società russa?
«È divisa, alcuni sostengono Putin. Molti altri sui social, da Mosca, hanno esposto la bandiera dell’Ucraina. Sul fondo c’è la riflessione che la grande stabilità economica di cui tutti i cittadini godono ora potrebbe essere incrinata. L’opinione pubblica, anche se soffocata, in Russia ha sempre contato. Le rivoluzioni sono arrivate anche per questo».
Un libro per comprendere a fondo questa contesa?
«"Il convitto" di Serhij Zadan, tradotto da Voland, ambientato anche nel Donbass».