BARI - «È un dolore che ci lascia tutti sgomenti perché non può essere accettabile che nel luogo che riteniamo più sicuro, ossia la nostra casa, sotto forma di gioco, possa arrivare un invito a confrontarsi con la morte». Commenta così il Garante pugliese per i diritti del Minore, Ludovico Abbaticchio, la morte del bimbo trovato impiccato a Bari. «Questo genere di tragedie non può essere attribuito alla mancata educazione da parte dei genitori: il tema è molto più complesso. Come Garante, come genitore e nonno penso che un evento del genere debba spingerci a scendere in campo e pretendere che la rete sia un territorio dove non tutto può accadere e non tutto è lecito. Siamo tutti chiamati a vigilare e a inserire i filtri e i parental control, ma il sistema si rigenera di continuo ed è difficile mantenere una zona protetta costante».
Abbaticchio sottolinea che «al momento a livello territoriale, nazionale ed europeo c’è una completa disinformazione sul tema. Non basta parlarne però. Il tutto deve essere governato da un processo di riforma radicale. Sono decenni che si parla del tema della salute minorile, ma non sono mai state avviate delle procedure di rinnovamento e di confronto». Nel concreto, per il Garante «c’è bisogno di rimodulare il lavoro della Polizia postale con sistemi di controllo molto più attivi. Un esempio può essere l’uso dell'impronta digitale e di una password che il genitore deve inserire assieme al codice fiscale, appena si accede all’app o al sito. Una sorta di controllo d'ingresso. Tutto questo però, senza demonizzare i sistemi informatici che, con la pandemia, ci hanno permesso di “vivere” una pseudo normalità. Occorre instaurare un nuovo sistema educativo in cui lo smartphone non può sostituire il genitore». La soluzione sta nel ripristinare quel rapporto interpersonale tra genitore e figlio, supportandolo con lo studio dell'educazione civica e digitale che devono diventare materie fondamentali a scuola. «Ci vuole - conclude Abbaticchio - una profonda presa di coscienza e una riforma totale del settore, solo così potremo combattere questo tipo di tragedie».
Anna Coppola De Vanna: «Gli adulti comprendano le proprie responsabilità» - «Gesti così tragici devono solo portare gli adulti a capire quanto è vitale il loro ruolo nell’esistenza dei più piccoli». Con queste parole Anna Coppola De Vanna, psicologa dell’infanzia e responsabile di Rete Dafne Puglia, servizio di assistenza alle vittime di reato, unico nell’Italia meridionale e gestito insieme con il Centro di giustizia riparativa, dalla Cooperativa Crisi, commenta la morte del bimbo di 9 anni che ha scosso Bari e l’Italia intera. «Bisogna avere uno sguardo microscopico sulla realtà: si passa dall’ineluttabile all’evitabile. Questa vicenda cade sicuramente nella seconda casistica. In qualità di adulti abbiamo l'obbligo morale di evitare queste situazioni, ci addoloriamo, poi ci indigniamo e cominciamo ad andare alla ricerca del colpevole senza renderci conto che magari i colpevoli siamo noi. Non mi riferisco al caso specifico in questione, ma vorrei porre l’accento sul quadro generale».
Prego. Ci spieghi meglio.
«Tutta questa analisi si insinua in una cornice di rimpallo di responsabilità tra istituzioni e famiglie, che non giova a nessuno. Men che meno ai bambini che non hanno gli strumenti per capire la differenza tra mondo reale e mondo vrtuale».
Cosa possiamo fare per aiutare i minori in questo percorso di crescita?
«C'è bisogno di un'alleanza tra istituzioni e famiglia che non sia solo su carta. Ma diventi qualcosa di concreto. Ed è proprio in questa mancanza di collante che si sviluppano le tragedie, balzate alle cronache in questi giorni. Per quana attenzione si possa prestare al mondo dei bambini, non sempre noi adulti abbiamo un ascolto così raffinato nei loro confronti. In un momento storico come quello che stiamo vivendo, dovuto alla pandemia, i bimbi osservano il mondo attraverso uno schermo. Così facendo i piccoli, e di conseguenza gli adulti, rischiano di perdere la loro umanità, portando le nuove generazioni a un impoverimento galoppante che non riesce a distiguere il reale dal virtuale».
E quali sono gli strumenti per farlo?
«Bisogna responsabilizzare gli adulti ancora di più. Renderli una roccia, un porto sicuro, creando una sinergia tra scuola, istituzioni e famiglia. In altre parole ri-umanizzarli riconnettendosi ai valori del passato. Pensiamoci. Che cosa facciamo vedere ai bimbi? Liti e non sorrisi, in ogni campo. E che modello offriamo loro? Questa cosa mi spaventa. Bisogna fare mea culpa e ricominciare, se ne siamo capaci. Altrimenti davvero l'ineluttabile è dietro l'angolo».