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Regionali, i governatori spingono per il 26 luglio, Emiliano e Toti: «voto il 6 settembre»

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Regionali, i governatori spingono per  il 26 luglio

Ma i partiti sono ancora divisi. Messe a punto le norme di sicurezza

Venerdì 29 Maggio 2020, 09:04

Cinque governatori regionali - Giovanni Toti, Vincenzo De Luca, Michele Emiliano, Luca Ceriscioli e Luca Zaia - tornano a chiedere di votare il 26 luglio per il rinnovo dei consigli regionali mentre il «decreto elezioni» procede «annacando» in parlamento: il voto finale slitta all’8 giugno, consentendo un ulteriore margine di trattativa tra governo, forze politiche e Regioni in vista di una intesa che al momento sembra lontana.

Ieri Toti, spalleggiato da Stefano Bonaccini - in qualità di presidente della Conferenza delle Regioni -, e con una piena intesa siglata con Emilano, ha con forza rinnovato la richiesta di votare a luglio, per ragioni sanitarie e di rispetto delle prerogative costituzionali: «Abbiamo chiesto più volte di votare nella prima finestra utile che è la fine di luglio. Ove il Governo e il Parlamento decidano qualcosa di diverso, le cinque Regioni sceglieranno sicuramente di comune accordo di votare il 6 settembre». «Siamo assistendo a un dibattito assurdo - ha aggiunto Toti -. Se non sarà a luglio, sceglieremo di comune accordo la data del 6 settembre, dopodiché il governo per le comunali scelga la data che meglio ritiene». E i cinque governatori - dopo essersi scontrati con il ministro dell’Interno Lamorgese - hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere un suo intervento dirimente, affinché si voti prima dell’apertura delle scuole.

Allo stato si registra una Babele di posizioni. L’accelerazione dei governatori uscenti va a impattare con il tentativo del M5S di proporre un election day insieme alle amministrative e al referendum. Sul tema il grillino Carlo Sibilia, sottosegretario all’Interno, ha ribadito che il giorno unico per le varie consultazioni «dovrebbe essere scontato», rispettando l’autonomia delle regioni ma facendosi guidare «dal buon senso e evitando spreco di denaro pubblico».

I promotori del referendum contestano l’accorpamento, e hanno incontrato il premier Conte per palesare le proprie proteste. La maggioranza giallo-rossa? Era divisa sull’ipotesi di votare il 13 e 14 settembre, sembra compattarsi sul voto una settimana dopo, il 20 e 21 settembre. L’opposizione di centrodestra ha una divaricazione: Fdi e Forza Italia chiedono di far slittare le urne almeno di una settimana (al 27), mentre la Lega ha un atteggiamento meno incisivo (il Carroccio è per andare al voto prima possibile).

Nella discussione ha un peso la relazione del comitato tecnico-scientifico che al governo di votare a settembre, ipotizzando una nuova impennata di contagi con l’arrivo di ottobre.

Una lettura realista arriva dal parlamentare-costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd): «Tutti auspichiamo la quadratura e una data condivisa per l’election day. C’è però, al momento, un problema oggettivo: governo e parlamento possono solo dialogare con le Regioni e provare a convincerle, ma non hanno margini di imposizione. Se anche le Regioni e i gruppi di opposizione non si prestano ad un’analoga flessibilità, nessuno può fare miracoli», conclude. Il governo può, dunque, indicare una finestra per il voto ma non può imporre ai governatori l’election day: così l’opzione con più date per regionali, comunali e referendum diventa una ipotesi verosimile.

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