Il Politecnico di Bari, raggiunto l’obiettivo, ha fatto arrivare la notizia allo staff di Domenico Arcuri, commissario straordinario all'emergenza Covid-19: c'è un'azienda del Sud capace di fornire non meno di 250mila metri quadri di tessuto al giorno per la produzione di minimo 3,5 milioni di mascherine chirurgiche. La potenzialità, però va oltre: il passo successivo potrebbe essere raddoppiare e arrivare a 7 milioni di pezzi al dì. Nel mare di polemiche, dovute alla penuria e al costo del prodotto, spesso superiore ai 50 centesimi stabiliti dal Governo, il via libera di un laboratorio di Chieti permetterà alla Or.ma. srl di Pisticci Scalo, in provincia di Matera, di realizzare, per ora unica nel Mezzogiorno, la materia prima alternativa all'introvabile «meltblown», indisponibile sui mercati internazionali. Ottenuta la certificazione, carichi di merce stanno già raggiungendo le aziende assemblatrici prima di giungere nei negozi al dettaglio con un costo stimato per la popolazione di circa 20 centesimi a unità, un esborso che potrebbe essere dunque di molto inferiore al tetto stabilito dall'Esecutivo. È proprio di ieri l'accordo tra Arcuri e l'Associazione Distributori di Farmaci secondo cui i farmacisti pagherebbero a 38-40 centesimi le mascherine all’ingrosso, con un guadagno alla vendita di circa 10 centesimi per ciascuna, il doppio rispetto alla fase precedente la pandemia.
VANTAGGI - Il quantitativo giornaliero dell'azienda lucana permetterà di contenere il costo di produzione unitario a 5-7 centesimi, consentendo dunque un considerevole margine per tutta la filiera. «Abbiamo risolto il problema del tessuto filtrante e dell'approvvigionamento - afferma Giuseppe Carbone, direttore del Dipartimento Meccanica Matematica e Management del Politecnico di Bari -. Con questa materia prima avremo la possibilità di coprire buona parte del fabbisogno nazionale e sicuramente regionale. È andata in porto, dunque, la collaborazione tra il gruppo Riapro del Politecnico, Natuzzi e Texol (leader nella produzione di film perforati e prodotti per l'igiene femminile, è la controllante di Or.ma. srl - n.d.r.), grazie alla quale abbiamo individuato la potenzialità di un tessuto che ha una capacità filtrante batterica del 99 per cento, testata, secondo la normativa Uni En 14683:2019, presso il laboratorio di analisi chimico-fisiche e microbiologiche Laci srl di San Giovanni Teatino. Il vantaggio economico è evidente: il costo al dettaglio sarà senz'altro inferiore rispetto a quello della mascherina realizzata col meltblown. Tra l'altro questo nuovo tessuto (viscosa, poliestere e polpa di cellulosa - n.d.r.) è anche più sostenibile, cioè meno inquinante».
PRODUZIONE - Nello stabilimento della Or.ma. (150 dipendenti, 21 milioni di fatturato nel 2019), occupante una superficie di 6mila metri quadri, cui ne vanno aggiunti altri 9mila di magazzino esterno, si producono garze per ospedali, salviettine (che poi altre imprese inumidiscono e confezionano), in piccola parte materiali per i rivestimenti delle automobili e anche prodotti per il settore food (destinati a ristoranti e hotel di lusso), i cui macchinari dedicati sono al momento fermi. È bastato tarare proprio i sistemi dell'impianto per tovaglie e tovaglioli usa e getta (ma anti-strappo, quindi di qualità superiore) per riconvertire e passare alla fabbricazione del tessuto per le mascherine. «Il nostro obiettivo minimo - afferma Renzo Odoardi, amministratore delegato di Or.ma. srl - è di produrre per consentire l'assemblaggio di 50 milioni di mascherine al mese. Non è nostra intenzione puntare solo su questo business. Potremmo, però, valutare un incremento ulteriore nel caso di un contratto importante: un impianto nuovo analogo a quello già utilizzato costa milioni di euro».
DISPOSITIVI - Una multinazionale, che ha già creato una struttura nel Centro-nord, ha contattato la Or.ma. per costituire al Sud una filiera completa destinata ai dispositivi di protezione individuale, comprese le tute da destinare agli operatori sanitari. È un progetto (determinerebbe la creazione di centinaia di posti di lavoro) per la produzione della materia prima e dei dpi, per la commercializzazione e, come proposto da Odoardi, anche per il riutilizzo e il riciclo dei prodotti, una fase che risolverebbe il problema dello smaltimento. «Questo aspetto - spiega - è molto importante. La tecnologia per impianti che possano sterilizzare e riciclare le mascherine già esiste. Per concludere, vorrei specificare che fin qui abbiamo parlato di mascherine per la popolazione, cioè di filtranti che, dopo l'autorizzazione ottenuta per il tessuto, possono essere definite chirurgiche, quindi a disposizione anche degli ospedali e dei presidi sanitari». Ma il prossimo passo del Politecnico è favorire la fabbricazione delle FFP2 e FFP3, in modo da andare incontro anche alle necessità delle aree Covid. In questo caso, la normativa è più stringente: è necessario il benestare, oltre che dell'Istituto Superiore di Sanità, anche dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro.