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Coronavirus, parla il ministro Boccia: «Ora l’Italia è ancora più unita»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Il ministro Francesco Boccia

Il ministro Francesco Boccia

Il ministro degli Affari Regionali: la Puglia è un modello. Emiliano? Telefonate a volte burrascose ma c’è sintonia

Domenica 05 Aprile 2020, 11:39

Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali, ieri a Bologna per la partenza di 51 infermieri volontari, l’emergenza ha acceso tensioni tra lo Stato e le Regioni. Qual è la situazione?

«Mi permetto di dire che l’emergenza ha invece dimostrato quanto sia forte la sintonia tra Stato e Regioni. Gli esempi di altri Paesi parlano da soli. Ci sono nazioni molto forti dove oggi si fa fatica a programmare un’attività quotidiana e capillare come stiamo facendo in Italia. E questo si deve al presidente Conte che ha insediato un tavolo permanente Governo-Regioni-Enti locali e tutti sanno di essere un pezzo fondamentale dello Stato».

Le Regioni vorrebbero gestire direttamente i 900 milioni del Fondo Nazionale politiche sociali. Si può fare?

«Non abbiamo preclusioni. Qualunque intervento serva ad accelerare i processi è ben accetto. Abbiamo preso in carico la richiesta, valuteremo»

Qualche «spigolo» sta comunque emergendo. Un esempio è la querelle Emiliano-Zaia sui macchinari contesi tra Puglia e Veneto (lo stesso Emiliano ha contestato anche la Protezione Civile). Prevale il «sovranismo territoriale»?

«I confronti fanno parte del dialogo. Anche quando i toni sono duri. È inevitabile che dovendo affrontare decine di problemi ogni ora, ogni giorno si registrino frizioni. È fisiologico. E invece proprio le frizioni dimostrano che la macchina che abbiamo messo in campo funziona. E proprio ciò che è accaduto tra Emiliano e Zaia lo dimostra».

Cioè?

«Alla fine il Veneto ha ottenuto ciò che riteneva giusto avere, ed è così, e la Puglia ha avuto non solo ciò che le spettava ma qualcosa in più in termini di raccordo con una regione così organizzata. Da questo punto di vista la mediazione nostra è stata fondamentale. Ecco, non direi che c’è un sovranismo territoriale così come non ci può essere un sovranismo statale. C’è un corpo unico, lo Stato, e le Regioni sono le sue membra».

Crimi e Orlando hanno proposto una riforma per «restituire» la Sanità allo Stato centrale. Concorda?

«Oggi abbiamo un’esigenza: salvare le vite. Dobbiamo correre. Verrà il tempo delle analisi. Personalmente credo che l’attuale sistema fondato su una programmazione generale riservata allo Stato e un’organizzazione territoriale alle Regioni sia in teoria la soluzione migliore. Anche perché illudersi di sapere da Roma cosa succede all’ospedale di Belluno o di Bisceglie è utopistico».

Nessun ripensamento?

«Il tema posto da Orlando e Crimi è molto serio e attiene al ruolo pubblico nella sanità e al peso dello Stato e io penso che ci sarà il momento in cui con nettezza andrà detto che la prevenzione territoriale dev’essere capillare e pubblica. Così come serviranno centri statali per la solidarietà tra regioni. Oggi il sistema Cross sulle terapie intensive ha salvato la Lombardia grazie alla generosità delle altre regioni ma serve ruolo forte dello stato e posti di terapia intensiva dello Stato. Così come l’esercito di volontari solidali della protezione civile di medici e infermieri ha dimostrato la forza dello Stato e le regioni possono solo beneficiare di tutto questo. Tutta l'Italia deve avere un sistema in caso di prevenzione territoriale pubblica in grado di rispondere a gravissime crisi come hanno dimostrato in Emilia e in Veneto tanto per intenderci».

E la Puglia?

«La Puglia, va dato atto a Emiliano, si è attrezzata molto bene prevenendo la crisi. È un modello di risposta al Sud. In occasione di un’emergenza straordinaria come questa il presidente della Regione ha mostrato grandi doti di organizzazione e tempestività di intervento. Anche se qualche volta le nostre telefonate non sono proprio molto tranquille. Proprio perché con passione stiamo facendo un lavoro difficilissimo. Ma non è facile, per nessuno».

E quindi tutto questo cosa ci insegna dal punto vista della autonomia differenziata? Il progetto andrà avanti?

«L’impalcatura è nella Costituzione. Il disegno di legge attua la Costituzione esistente. Chi non ha letto bene il testo continua a banalizzare il senso della parola autonomia. Ma come ha spesso ricordato il Presidente Mattarella, l’autonomia quando è sussidiarietà rafforza l’unità nazionale. E noi sempre e comunque da lì dobbiamo ripartire. La sussidiarietà con uno Stato forte, rigoroso e trasparente migliora gli strumenti di chi è vicino ai cittadini e porta vantaggi al nostro Sud. È una differenziazione verso l'alto, mai verso il basso. Con lo Stato che deve dire sempre e comunque la sua sui diritti da garantire a tutti. Come dimostra questa vicenda storica senza Stato nessuno ce la fa da solo. Non ce la fanno i ricchi e non ce la fanno i cosiddetti territori poveri. Insieme ce la fanno tutti».

Quali saranno gli errori da non commettere nella «fase 2»?

«Posso essere sincero? Noi oggi dobbiamo schiacciare quel maledetto picco. Questo è il problema. Vogliamo capire che il primo strumento che abbiamo per far ripartire il Paese è quello dell'abbattimento del contagio il prima possibile? Il Paese non riparte se domattina riapriamo fabbriche, bar e ristoranti, ma riapre quando l'epidemia sarà fermata. Ecco, l'errore da non commettere nella fase 2 sarà quello della fretta. Le ricadute, si sa, sono le peggiori. Da questo punto di vista, almeno sotto il profilo psicologico, vedremo la luce quando avremo chiara l'idea sulla riapertura delle scuole».

L’Europa, come spesso è capitato, si divide di fronte all’emergenza lungo la frattura Nord-Sud. Per molti, questa volta, l’Unione rischia davvero l’implosione. È preoccupato?

«Sono preoccupato, è vero ma non tanto sotto il profilo della trattativa con l’Europa quanto sul solito vizio di ragionare per slogan. Non si può dire che un piatto non ci piace se non lo assaggiamo»

Si riferisce al Mes?

«Non ha senso dire “non voglio il Mes” se non sappiamo ancora cosa c’è dentro. Certo, quello che c’è adesso non va. Ma è un veicolo pieno di soldi all’interno del quale si possono mettere nuove regole. Io sono felice che Conte abbia ribadito l'esigenza degli Eurobond. Ma non ci impicchiamo a un nome. Siamo l'Italia abbiamo forza e autorevolezza per cambiare le regole. Occorre equilibro nelle cose. Facile dire stampiamo moneta. Ma ci rendiamo conto di cosa significa? I soldi non si trovano sull’albero, ci deve essere qualcuno che te li presta».

Nella ricostruzione post-emergenza lo Stato si ritaglierà probabilmente un ruolo di indirizzo cruciale. E molti già parlano di «pandemia statalista» e di un moltiplicarsi della burocrazia. C’è questo rischio?

«Esattamente il contrario. La velocità d’intervento di questi giorni sta dimostrando quanto sia strategico accelerare procedure e burocrazia. Accelerazione che è stato il punto fermo anche per il futuro delle proposte al governo del Pd. Zingaretti ha sempre e solo posto una presentazione condizione per la ripartenza: lo snellimento burocratico e la semplicità nella vita di tutti i giorni così come purtroppo abbiamo dovuto fare in emergenza. Snellimento e velocità saranno i punti fermi della ripartenza».

A emergenza finita, molti invocano la necessità di un governo di unità nazionale, magari con Draghi alla guida. È un’ipotesi da valutare?

«Questo governo si fonda su una maggioranza parlamentare. Abbiamo un dialogo quotidiano con l’opposizione e seppur con notevoli fibrillazioni questo dialogo è fruttuoso. Lascerei stare chi è in agguato ogni minuto sulle agenzie per sparare qualche freccia contro l’avversario politico e guadagnarsi cinque minuti celebrità. No , sto parlando di un confronto serio. Io ho fatto mia una proposta di FdI sui Consigli regionali. Conte ha sempre raccolto le proposte delle opposizioni e lavorato per l’approvazione unanime dei provvedimenti. La fiducia in Conte è anche la fiducia verso un presidente che ascolta tutti. Non è importante da chi viene l’idea ma che cosa è. Direi che se vogliamo uscirne non abbiamo alternative. La storia ci giudicherà sul lavoro che avremo fatto, ognuno di noi, e anche se saremo riusciti a rimanere uniti come popolo nella tempesta».

E Draghi?

«Credo che sia un patrimonio collettivo di tutta Europa e ovviamente l’orgoglio italiano con grande senso dello Stato. In un momento come questo nel quale l’emergenza è ogni minuto parlare di governo nuovi è un offesa a tutti, Draghi compreso».

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