Come da previsioni, i dem pugliesi si dividono fra la «forza» di Marco Minniti e le capacità di «allargamento» di Nicola Zingaretti, mentre tra intellettuali e società civile regna l’indecisione. Le primarie nazionali del Partito democratico, con otto competitor già in pista (s’è aggiunta ieri Maria Saladino), entrano nel vivo e, nonostante la chiusura delle candidature arriverà solo a metà dicembre, è già possibile disegnare, almeno fra i big, una «geografia» orientativa.
Sfogliando la margherita dei posizionamenti, non ha ancora sciolto le proprie riserve Fronte Dem, la corrente che fa capo al governatore Michele Emiliano. Lo precisa il deputato Ubaldo Pagano: «Quando candidati e programmi saranno sul tavolo, matureremo una decisione. Parliamo di un congresso nazionale, non locale - osserva - , ma è chiaro che, avendo noi un maggior radicamento al Sud, c’è una speciale affinità programmatica con chi proviene dal Mezzogiorno». Nella fattispecie, il pugliese Francesco Boccia - già «peso massimo» di Fronte Dem, ma autonomo nella scelta di giocarsi la partita congressuale - e il calabrese Minniti. Non hanno invece dubbi i franceschiniani che puntano su Zingaretti: «È il più adatto - spiega il deputato Alberto Losacco - a compiere il difficile percorso di ricucitura con la sinistra e di apertura a nuove esperienze cui è chiamato il Pd». Stesso orientamento per gli orlandiani con Michele Bordo che puntualizza: «Avrei preferito non assistere all’ennesimo congresso in cui tutto ruota intorno al toto-nomi. Ma, ciò premesso, Zingaretti mi pare quello che, più di tutti, può segnare una discontinuità con il passato recente. È l’unico che si stia dando una connotazione da riformista radicale».
A Minniti guardano invece il senatore Dario Stefàno («propendo per lui, ma è presto per sbilanciarsi in analisi e commenti») e l’europarlamentare Paolo De Castro: «Non ho dubbi - afferma , quest’ultimo- mi sono schierato con l’ex ministro dell’Interno prima ancora che decidesse di scendere in campo. Sono fra quelli che hanno invocato fin da subito il suo impegno perché è il solo a poter regalare al Pd l’immagine di un partito forte. Ho più dubbi, invece, per la Regione. L’ultima volta ho sostenuto Emiliano, questa volta non so». La renziana Teresa Bellanova, come già raccontato alla «Gazzetta» giorni fa, è al momento «in fase di ascolto», non volendosi iscrivere «a nessuna tifoseria perché questo non è un concorso di bellezza». E se il segretario regionale Marco Lacarra non ha ancora sciolto le riserve, sceglie Minniti anche il consigliere Fabiano Amati: «È un uomo di Stato e, fra tutti, quello con la proposta politica più equilibrata».
Sul fronte degli intellettuali, l’unico ad esporsi, sempre per Minniti, è il politologo e già direttore dell’«Istituto Gramsci», Beppe Vacca: «Penso che l’ex ministro rappresenti, con forza e vigore politico, la valorizzazione della esperienza migliore del Pd e della sua prova di governo». Non si sbilancia invece lo scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio: «Voterò di sicuro ma non ho ancora deciso per chi - riflette -, non voglio essere frettoloso. È chiaro che per me qualcuno è più interessante di altri, ma non abbastanza da spingermi a enunciare una decisione definitiva. Compirò una scelta poco prima del voto». Predica prudenza anche l’ex parlamentare Giusy Servodio, vicina al già premier Paolo Gentiloni («la mia non è una scelta individuale, dovrò decidere con un po’ di amici»), mentre è una obiezione politica quella che mette sul tavolo la docente Rosina Basso Lobello: «Vediamo come evolve la situazione, al momento un po’ confusa - argomenta -. Registro una fioritura di candidature, ci sono cento fiori sul prato. E tuttavia, il mondo del cattolicesimo democratico non riesce ad esprimere un nome che ne rappresenti le istanze». Sulla questione di genere si interroga invece la sociologa Patrizia Calefato: «È significativo che su otto candidati ci siano sette uomini e solo una donna sulla quale prometto di documentarmi. Negli ultimi anni, le donne del Pd hanno visto crescere la propria visibilità anche grazie ad una equa distribuzione dei ministeri nei governi Letta, Renzi e Gentiloni. E tuttavia - conclude - , se si pensa ad altri livelli, come ad esempio quello regionale o alla corsa per la segreteria, il numero delle donne diminuisce sensibilmente. È un tema che coinvolge tutta la classe politica italiana».