BARI - I tetti di spesa del 2018 non cambieranno. Quelli del 2019 nemmeno, ma ci sarà un meccanismo indiretto per incidere sulla qualità dell’assistenza ai pugliesi. La Regione è pronta a mettere sul tavolo della trattativa con le case di cura i 180 milioni della mobilità passiva: piuttosto che mandare i cittadini a curarsi fuori, è pronta a pagare gli erogatori privati affinché offrano in Puglia ciò che oggi non c’è.
È questo il meccanismo per mandare in pensione l’algoritmo inventato dalla giunta Emiliano nel 2016 per superare il criterio dei tetti di spesa storici, ovvero i budget assegnati ai singoli ospedali privati, una torta che vale 450 milioni di euro l’anno. Un meccanismo ucciso nella culla: dopo che a maggio il Tar di Bari ha «bocciato» il rinvio dell’entrata in vigore al 1° gennaio scorso, a settembre il Consiglio di Stato ha sospeso la decisione dando nei fatti tempo fino a marzo per trovare un accordo.
E così la Regione da alcune settimane sta incontrando le organizzazioni datoriali, cui ha anche consegnato i dati relativi alla produzione del 2017 affinché potessero formulare proposte di ripartizione del tetto. Ma la spesa storica per le 28 case di cura private (che post-riordino esprimono 2.603 posti letto) in ogni caso non potrà crescere in via diretta. «Stiamo ragionando con loro, in base all’esperienza e alla capacità individuale, se possono aiutarci a recuperare la mobilità e così incrementare i tetti di spesa», spiega il capo del dipartimento Salute, Giancarlo Ruscitti. «Conosciamo bene le priorità su cui concentrarci. Il tema è accoppiare la capacità produttiva esistente con le necessità di riduzione della mobilità. La Puglia non ha grandi carenze di assistenza: i primi 10 Drg di mobilità passiva sono l’alluce valgo, la chirurgia bariatrica, una parte dell’oncologia e dell’ortopedia». Insomma: i privati pugliesi che eviteranno la transumanza di pazienti in Lombardia per gli interventi contro l’obesità potranno, per questa via, aumentare i propri fatturati.
La Regione oggi ha numerosi interlocutori con cui fare i conti: i privati - raggruppati in due sigle datoriali contrapposte - e gli ospedali ecclesiastici, ciascuno con le sue specificità. L’algoritmo per rideterminare i tetti di spesa era basato sul peso medio ponderato dei Drg (misura la complessità degli interventi effettuati: un’ernia del disco vale meno di un by-pass coronarico), la degenza media indicizzata (misura l’efficienza) e l’indice di complessità assistenziale (più cose diverse fai in ospedale, più sei bravo), un parametro contestatissimo perché favorisce uno dei due grandi gruppi privati (l’unico a poter vantare un pronto soccorso). Non è un caso se il ricorso al Tar contro lo slittamento dell’entrata in vigore dell’algoritmo era stato presentato anche da Cbh e dalla San Camillo di Taranto, la clinica che - lo ha mostrato la «Gazzetta» giovedì - è riuscita a far crescere in maniera enorme il peso medio, tanto da innescare dubbi sui controlli effettuati dalla Asl di Taranto in merito all’appropriatezza dei ricoveri.
In 10 anni i ricoveri extraregionali sono calati del 21%, dai 73mila del 2006 agli attuali 58mila. Tuttavia ci sono ancora 2.300 persone costrette ad andare nelle Marche per sottoporsi (a spese della Regione) a un semplicissimo intervento di alluce valgo, o le 2.100 che vanno in Lombardia o a Bologna per una protesi di anca o di femore. Un terzo degli interventi collegati all’artrosi, poi, viene effettuato in mobilità passiva, e ci sono i 3mila ricoveri l’anno di bambini pugliesi al Bambin Gesù a testimoniare il deficit sulla pediatria. Ed è in questo contesto che le case di cura private saranno chiamate a muoversi dal prossimo anno.