Un uomo di 57 anni di Cursi (Le), Roberto Pappadà, ha sparato ieri sera sul tardi ai suoi vicini di casa, nel corso di una lite, uccidendo Franco e Andrea Marti, padre e figlio di 63 e 36 anni, e Maria Assunta Quarta, 52, zia di Andrea, che è morta in ospedale, al Vito Fazzi di Lecce. Non sono gravi le condizioni della mamma di Andrea e moglie di Franco Marti, Fernanda Quarta, ricoverata nell’ospedale di Tricase.
Maria Assunta Quarta era stata raggiunta all’addome da colpi di arma da fuoco sparati - con una 357 Magnum - dal vicino di casa. Le condizioni della donna erano apparse subito molto gravi. Era stata ricoverata nell’ospedale Vito Fazzi di Lecce in codice rosso. Tra le due famiglie da tempo c'erano attriti e litigi, mai denunciati. L’arrestato, a quanto pare, deteneva illegalmente l'arma. Ha sparato per questioni di parcheggio: il primo ad essere stato ucciso è stato Andrea Marti. Il 36enne era giunto in auto e l’aveva appena parcheggiata quando il vicino ha cominciato a gridare, afferrando poi l’arma e facendo fuoco sul giovane che è morto all’istante. Dopo aver udito i colpi di arma da fuoco sono scesi dall’abitazione anche il padre, la madre e la zia del 36enne e Roberto Pappadà ha fatto fuoco anche sui tre, uccidendo Franco Marti e ferendo le altre due donne, una delle quali, la zia di Andrea, è morta nella notte.
LA CONFESSIONE - «Me lo facevano apposta a parcheggiare le loro auto davanti casa mia. Ho sbagliato, non voglio essere difeso, pagherò, ma dovevo mettere fine a questa storia». Ha confessato con queste parole, nella notte, Roberto Pappadà l'aver ucciso di proposito tre persone per screzi di vicinato legati al parcheggio in via Tevere dove l’omicida e le vittime abitavano. Pappadà è accusato di triplice omicidio pluriaggravato da futili motivi e premeditazione. Nell’interrogatorio davanti al magistrato di turno Donatina Buffelli, alla presenza del suo legale difensore avvocato Nicola Leo, Pappadà ha ricostruito in maniera lucida la sua folle vendetta, asserendo che il vaso era ornai «sbatterrato» (secondo un termine salentino), dopo un anno e mezzo - a suo dire - di soprusi subiti.