BARI - Le tariffe per gli interventi con impianto di protesi ortopediche non possono essere determinate solo accettando ciò che hanno chiesto le case di cura private pugliesi. Non capita tutti i giorni che un Tribunale smentisca, e per ben due volte, un proprio commissario ad acta. Ma stavolta il Consiglio di Stato ha salvato la Regione da un salasso che vale non meno di 39 milioni di euro e che avrebbe potuto far saltare ex post il Piano di rientro.
Nel 2010, in pieno scandalo delle protesi (quelle di Gianpi Tarantini), l’assessore Tommaso Fiore cambiò le regole per rimborsare gli interventi: per evitare che i medici, opportunamente oliati da Gianpi, acquistassero il dispositivo più costoso, stabilì che la tariffa dovesse essere omnicomprensiva (intervento più protesi). Ma la modifica arrivò quando il 2010 era ormai quasi terminato e gli interventi erano stati già fatti, e il nuovo sistema tariffario venne introdotto solo nel 2013. Il primo dei tre anni di buco, il 2010, è finito davanti ai giudici amministrativi, che dopo una lunga battaglia hanno affidato la soluzione del problema a un commissario. Nel 2015 il Consiglio di Stato lo ha sconfessato una prima volta su reclamo delle sette case di cura. L’altroieri, accogliendo il reclamo predisposto all’ultimo giorno di lavoro in Regione dall’avvocato Sabina Di Lecce (oggi al libero foro), Palazzo Spada lo ha fatto per la seconda volta, e con termini pesantissimi: «Il lungo contenzioso sulla vicenda in esame - hanno scritto i giudici - è dovuto esclusivamente al ripetuto, estemporaneo e indebito comportamento del commissario nominato che ha sistematicamente sostanzialmente ignorato le indicazioni sulle modalità di esecuzione della decisione».
Almeno in linea di principio, la sentenza è chiara. Si tratta di determinare ora per allora il valore di due «Drg» (il listino con cui vengono rimborsati gli ospedali privati) per poi applicarlo agli interventi effettuati nel 2010 da Bernardini e Villa Verde di Taranto, Salus di Brindisi, Villa Bianca di Lecce, Cbh, Santa Maria e Anthea di Bari. Quasi certamente la stessa tariffa verrà applicata anche agli altri anni scoperti (che non rientrano nel giudizio amministrativo), e così - seguendo la decisione del commissario ora annullata - si arrivava ai famosi 39 milioni di euro. Il Consiglio di Stato l’altroieri ha ribadito che la tariffa andrà determinata applicando i criteri in vigore prima del 2010, e non - come aveva fatto il commissario lo scorso anno - accettando le autocertificazioni presentate dalle cliniche private. Il che è oggettivamente un problema, perché dopo tanto tempo quasi certamente le Asl non hanno più nemmeno i dati necessari a ricostruire i singoli interventi.
Ora la palla torna in mano al commissario, che - nonostante l’irritazione - non è stato sostituito. I giudici si sono limitati a invitarlo «al corretto, completo e sollecito adempimento delle predette prescrizioni onde evitare che ulteriori ritardi possano determinare un danno erariale per interessi e rivalutazione. In difetto potrà sempre trarne le opportune conseguenze». Se vuole, insomma, dovrà essere il commissario a dimettersi.