Lo scenario criminale tra Apricena, San Severo e Poggio Imperiale prima del duplice omicidio di Nicola Ferrelli e dello zio Antonio Petrella uccisi il 20 giugno 2017 alla periferia di Apricena, era segnato dalla faida tra le consorterie mafiose Padula/Cursio e i Di Summa/Ferrelli. La faida fece registrare omicidi e diversi ferimenti, sancendo così la fine della labile coesistenza pacifica che aveva caratterizzato gli anni immediatamente precedenti all’agguato, anche grazie al ridimensionamento subito dalla mafia foggiana per numerose inchieste, arresti e condanne. Gli anni precedenti il duplice omicidio videro un riacutizzarsi dei contrasti tra i due clan per la conquista della leadership nel controllo del territorio e la gestione di spaccio e estorsioni nell’area. I due clan mantenevano attivi, con canali differenti, i contatti con clan di Foggia, San Severo e del Gargano; e in particolare con la mala di San Marco in Lamis. Queste collaborazioni causarono inevitabili fibrillazioni all’interno dei due clan a causa di ingerenze e sconfinamenti di competenze nella gestione degli affari illeciti”.
Favori e morte - Così i pm Bruna Manganelli e Ettore Cardinali nella richiesta d’arresto inquadrano il contesto mafioso in cui maturò il duplice omicidio, per il quale il 25 settembre scorso hanno chiesto e ottenuto dal gip di Bari Gabriella Pede l’emissione di ordinanze cautelari in carcere per il mattinatese Francesco Scirpoli, 43 anni; e il coetaneo Pietro La Torre, mattinatese, già detenuti per altre vicende. Altri tre garganici sono indagati a piede libero per concorso in omicidio premeditato e aggravato anche da mafiosità. I due presunti killer arrestati sono ritenuti esponenti di spicco del clan Lombardi/Ricucci/Romito avrebbero agito per fare un favore agli alleati, tra cui vanno annoverati anche i foggiani della batteria Moretti/Pellegrino. L’accusa poggia sulle dichiarazioni di 8 pentiti; sul filmato dell’agguato grazie al quale è stata disposta una consulenza antropometrica che ha accertato compatibilità tra altezza e fattezze fisiche dei sicari e i due garganici arrestati.
Si pareggiano i conti – Il duplice omicidio di Nicola Ferrelli cognato del capoclan Salvatore Di Summa, e dello zio Antonio Petrella avrebbe in qualche modo pareggiato i conti con il duplice omicidio di Giuseppe e Michele Padula, rispettivamente fratello e figlio di Vincenzo Padula ritenuto al vertice dell’omonimo gruppo criminale, assassinati con modalità identiche il 22 agosto 2013. Il duplice omicidio è rimasto impunito al di là di sospetti rimasti tali sul clan Di Summa/Ferrelli. I due Padula percorrevano su una “Nissan” la strada che collega Apricena a San Paolo quando furono affiancati “da un altro veicolo con a bordo un commando di killer che li inseguirono per alcuni chilometri; e una volta raggiunti esplosero una pioggia di fuoco, facendo scempio dei loro corpi e sfigurandone il volto come firma dell’esecuzione. Quest’ultimo aspetto” sottolinea la Dda “ha una notevole valenza investigativa perché accomuna il duplice omicidio dei Padula al duplice omicidio Ferrelli/Petrella”.
“Sfigurati” - Ferrelli e lo zio alle 18.20 del 20 giugno 2017 a bordo di un Fiat Doblò furono investiti da decine e decine di colpi d’arma da fuoco esplosi da una “Bmw touring” con 4 sicari; tre scesero dopo che il “Doblò” finì contro un palo dell’illuminazione e fecero fuoco con mitra, fucile e pistola. Sequenze immortalate dalle telecamere della zona. Nella ricostruzione accusatoria Scirpoli impugnava il Kalashnikov, La Torre il fucile, Matteo Lombardi (indagato a piede libero, ergastolano al vertice del clan Lombardi/Ricucci/La Torre) una pistola. L’autopsia accertò che zio e nipote furono raggiunti da una ventina di colpi a testa in più parti del corpo, soprattutto al volto. “La raffica di proiettili” annotano i pm “sfigurò corpi e volti, rendendo difficoltoso il loro stesso riconoscimento da parte di parenti e inquirenti, proprio alla stregua dell’agguato in cui perirono i due componenti del sodalizio Padula”.
Messaggio di morte – “La devastazione dei volti di Ferrelli e Petrella raggiunti al capo dal colpo di grazia è un atto emblematico della mafia garganica. Rappresenta” ricordano la Manganelli e Cardinale “un messaggio silente e riassuntivo della finalità di intimidazione del gruppo. In questi casi l’intento non è solo quello di uccidere gli avversari, ma di cancellarne la memoria. Hanno ucciso con metodo mafioso, concretizzatosi in comportamenti e azioni idonee a esercitare sui criminali non allineati al clan, e più in generale sulla popolazione, una particolare coartazione psicologica”. Massacrare in quel modo due persone in mezzo alla strada in un “piano ben congegnato reso volutamente visibile agli occhi della popolazione, è un elemento in grado di incidere nella mente e nella sensibilità della gente comune, ingenerando quel timore che si traduce in un chiaro monito sia per gli avversari sia per l’intera collettività”.