L’ombra del caporalato dietro il processo per tentato omicidio che vede coinvolti due ghanesi. In primo grado il presunto feritore, Francis Asmah trentunenne ghanese, è stato condannato a 3 anni e 2 mesi per aver accoltellato all’addome e eviscerato il connazionale e presunto caporale Kwane Elisha Dwamena la sera del 24 gennaio 2024 in una baracca in contrada “Tre titoli” alla periferia di Cerignola. L’imputato fu fermato subito dopo e poi rimesso in libertà; sostiene d’essersi difeso dopo essere stato aggredito nella propria baracca dal presunto caporale che pretendeva di gestire i suoi guadagni da bracciante, vietandogli di mandare i soldi alla famiglia in Ghana.
Il difensore di fiducia, avv. Monica Scaglione, indicare la strategia nel processo di secondo grado in programma nei prossimi giorni in corte d’appello a Bari. “Punto uno: fu la parte offesa a fare irruzione armata nella baracca dell’imputato pretendendo che gli consegnasse dei soldi perché era il suo caporale. Punto due: l’arma del delitto, il coltello sporco di sangue, fu ritrovato nella baracca della presunta vittima”.
In primo grado lo scorso 21 gennaio il gup di Foggia Marialuisa Bencivenga condannò l’imputato a 3 anni e 2 mesi, concedendo le attenuanti generiche e riducendo la pena di un terzo per la scelta del rito abbreviato. L’avv. Monica Scaglione punta all’assoluzione per legittima difesa; in subordine al riconoscimento dell’eccesso colposo in legittima difesa; come terza istanza chiederà la condanna al minimo della pena derubricando il reato in lesioni perché la parte offesa non avrebbe mai corso pericolo di vita.
Sia l’imputato sia la vittima rimasero feriti nella colluttazione. Per quanto ricostruito dai carabinieri e dalla Procura sulla scorta delle dichiarazioni dei due “protagonisti” della vicenda e di altri due testimoni stranieri, fu Dwamena a recarsi dalla propria baracca in quella vicina di Asmah. “Stavo mangiando nella mia baracca” il racconto dell’imputato “quando è entrato Dwamena che è il mio caporale; come altri 4 connazionali, io gli consegno 50 centesimi ogni 7 euro e 50 che guadagno ad ora, oltre a versargli 5 euro per il trasporto nei campi. Ha preteso di gestire i miei guadagni vietandomi di mandarli ai miei familiari. Quando ho rifiutato, ha cercato di accoltellarmi; ho schivato il colpo rimanendo ferito al gomito, sono riuscito a disarmarlo ma non mi sono reso conto di dove l’ho colpito perché nella baracca non c’è energia elettrica”.
La vittima negò di essere un caporale, sostenendo che lui e il connazionale lavoravano insieme come braccianti; ammise d’essere entrato nella baracca di Asma, “ma non si è compreso bene per quale motivo l’abbia fatto; le sue dichiarazioni sono alquanto generiche e in alcuni punti contraddittorie con quanto riferito dai 2 testimoni e quanto emerso dalle indagini” scrisse il gup nel motivare la sentenza di condanna. Il giudice riconobbe che “le dichiarazioni dell’imputato appaiono complessivamente verosimili, e certamente meno contraddittorie e lacunose di quelle della vittima. Come pure appare verosimile che fu quest’ultima ad aggredire per primo l’imputato. Però anche a prendere per buona la versione dell’accusato, mancano gli elementi per poter invocare la legittima difesa. Il cui presupposto è il pericolo attuale non altrimenti evitabile. In questo caso invece Asmah dopo aver disarmato il connazionale poteva fuggire; oppure se si fosse trovato nell’impossibilità di scappare, avrebbe potuto colpire in una zona non vitale. Al contrario la vittima presentava parte delle viscere fuori dall’addome. Il che presuppone colpi inferiti in profondità e con forza”. Ricostruzione contestata dall’avv. Scaglione che nel processo d’appello punta all’assoluzione per legittima difesa.
















