“Non c’è dubbio che la commissione dei reati di concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità da parte dell’ingegnere Ferdinando Biagini, all’epoca dei fatti dirigente comunale del servizio lavori pubblici; e dell’ex consigliere comunale Massimo Laccetti, abbia comportato un rilevante danno d’immagine per il Comune di Foggia”. Per questo motivo i tre giudici della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, hanno condannato i due imputati a pagare 228mila euro all’amministrazione comunale, “considerate gravità dei fatti e rilevante ruolo rivestito dai due imputati”. Accolta quindi la richiesta della Procura regionale pur se sollecitava una somma maggiore: 268mila euro, il doppio delle mazzette riscosse o promesse. I difensori chiedevano il rigetto della domanda risarcitoria, in subordine il pagamento di una somma di gran lunga inferiore.
Biagini, 63 anni, foggiano da tempo trasferitosi a Chieti dopo il coinvolgimento nell’inchiesta; e Laccetti, 55 anni, anche lui del capoluogo dauno, furono arrestati due volte tra aprile e maggio 2014 per 4 concussioni e 1 tentativo di concussione a 4 imprenditori edili. Al termine di 3 gradi di giudizio, il 5 aprile 2023 la Cassazione rese definitive le condanne a 5 anni di Biagini e 4 anni e 8 mesi di Laccetti per 2 concussioni, 1 tentativo di concussione, 2 induzioni indebite.
“Nel corso del processo furono acquisite” ha rimarcato la Procura della Corte dei conti “una serie di prove tra dichiarazioni delle vittime, intercettazioni, documentazione varia, che dimostrarono come Biagini nella sua posizione apicale al Comune avesse costretto con la complicità di Laccetti diversi imprenditori, in primis Lello Zammarano, a corrispondere o promettere somme di denaro per ottenere provvedimenti favorevoli che consentissero lo svolgimento delle loro attività imprenditoriali”. Citati passaggi della motivazione della sentenza di condanna della corte d’appello di Bari, in relazione alla “particolare spregiudicatezza dei 2 imputati con una sistematica, programmata, capillare e maniacale determinazione con conseguente danno all’immagine del Comune. Biagini ha avuto un chiaro e persistente atteggiamento intimidatorio verso l’imprenditore” (Zammarano) “con espressa richiesta di consegnare una rilevante somma, indicandola come unica condizione per consentire al privato di ottenere quanto legittimamente gli spettava. Laccetti, particolarmente avido e determinato, ha dimostrato una caratura criminale sicuramente non inferiore a quella del suo dominus Biagini”.
Gli avv. Francesco Paolo Bello, Andrea Carafa e Adele Faienza legali di Biagini nel processo alla Corte dei conti (Lacccetti è assistito dall’avv. Girolamo Arciuolo) hanno ribattuto che non sussiste il danno d’immagine “perché la Procura non ha dimostrato l’effettiva incidenza negativa che le condotte del funzionario comunale avrebbero avuto sull’opinione e fiducia nutrita nei confronti del Comune quale istituzione pubblica”. E comunque, a dire della difesa, la somma da pagare doveva essere più bassa “perché le condotte illecite hanno avuto un impatto, anche mediatico, modesto; solo a livello locale, senza alcuna concreta lesione al prestigio del Comune; perché Biagini si dimise il giorno dell’arresto, consentendo all’amministrazione di risparmiare 30mila euro all’anno per un totale di 300mila euro maturati sino alla sentenza di condanna, cui aggiungere i 50mila euro che avrebbe dovuto incassare per trattamento di fine rapporto; perché Biagini subì già la confisca di beni durante l’inchiesta penale; perché nella sua veste di dirigente del Comune di Foggia per 15 anni, Biagini si distinse sempre per efficienza, autorevolezza e competenza”.
I giudici contabili hanno condiviso la tesi accusatoria, richiamandosi alle dure motivazioni della sentenza di condanna penale. Per la Corte dei conti “l’attività concussiva e/induttiva è stata posta in essere con caparbietà, sistematicità e capillarità tanto da riguardare anche l’affidamento di lavori di poche migliaia di euro. Non può non sottolinearsi la qualifica dirigenziale ricoperta da Biagini che si servì delle proprie funzioni per costringere gli imprenditori a pagare tangenti, in dispregio dei fondamentali principi di legalità e onesta cui dovrebbe essere sempre improntata l’attività dei pubblici dipendenti”. Quanto a Laccetti “ha mortificato l’investitura popolare per metterla al servizio del malaffare. La risonanza mediatica della vicenda dimostrata da diversi articoli ha ingenerato ancor maggior disdoro per l’immagine del Comune”. Se la difesa ha posto in risalto le dimissioni immediate di Biagini, i giudici hanno replicato come sia “evidente che in mancanza delle dimissioni sarebbe stato sospeso dal servizio e licenziato”.