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Foggia, ridotte dagli aguzzini a fare le schiave del sesso, condannato clan rumeno

 
Redazione Foggia

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Foggia, ridotte dagli aguzzini a fare le schiave del sesso, condannato clan rumeno

Inflitti 47 anni di carcere. Dopo un blitz in un campo abusivo di via San Severo. Le ragazze erano tutte minorenni. Storie di inganni e violenze parte civile

Venerdì 09 Giugno 2023, 12:41

12 Giugno 2023, 12:41

FOGGIA - Ridotte in schiavitù, segregate nel campo nomadi di via San Severo a Foggia, costrette a prostituirsi sulla vicina circumvallazione. Uno dei più drammatici casi di schiave del sesso in città con tre ragazze costrette a “battere” e che fu scoperto a settembre 2018 dopo la fuga di una minorenne e la denuncia, ha vissuto ora l’epilogo giudiziario con la sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitive le condanne dei 4 imputati a complessivi 47 anni di reclusione. Confermato il verdetto della corte d’assise d’appello di Bari del primo giugno 2022 che inflisse 13 anni e 6 mesi al capo famiglia Febronel Costache, romeno di 51 anni; e alla moglie Poenita Chiaric di 50 anni; 11 anni e 6 mesi al figlio Solomon Costache di 31 anni; e 8 anni e 6 mesi alla sua compagna all’epoca dei fatti, Mariana Raluca Iovanut di 32 anni. I 4 imputati rispondono di riduzione in schiavitù e induzione e sfruttamento della prostituzione ai danni di tre minorenne, e sequestro della coraggiosa connazionale la cui fuga e denuncia diede il via all’inchiesta.

Blitz e processi - Nell’inchiesta erano coinvolti altri due componenti del nucleo familiare, minorenni all’epoca dei fatti e condannati in primo grado a 8 e 6 anni dai giudici del Tribunale minorile. I sei romeni furono fermati a Foggia il 30 novembre 2018 dalla squadra mobile che eseguì i decreti di fermo firmati dalla Dda di Bari, competente per i reati di riduzione in schiavitù, e dal pm del Tribunale per i minori: la Iovanut fu scarcerata tre settimane dopo dal Tribunale della libertà per insufficienza di indizi. La corte d’assise di Foggia il 5 marzo 2021 condannò marito e moglie a 16 anni a testa; il figlio a 14 anni; la Iovanut a 9 anni. La corte d’assise d’appello di Bari il primo giugno 2022 confermò la colpevolezza della famiglia e ridusse le pene, ora confermate dalla quinta sezione della Cassazione che ha dichiarato inammissibili i ricorsi difensivi. Gli imputati sono difesi dagli avv. Alfredo Mennella, Nicola Quaranta e Margherita Matrella. Una delle tre vittime e l’associazione “Gens nova” si sono costituite parti civili con gli avv. Oriana Laboragine, Antonio Lascala e Gennaro Gadaleta. Gli imputati dovranno risarcire i danni.

Ingannata e schiavizzata – Una sedicenne romena scappò dal campo nomadi di via San Severo il 4 settembre 2018 e denunciò d’essere stata ingannata da un coetaneo conosciuto a Milano; convinta a seguirlo in pullman a Foggia; segregata in una baracca; picchiata e costretta a prostituirsi anche quand’era incinta del bambino poi perso dopo la fuga per un aborto spontaneo; rivelò anche un progetto (rimasto tale) per sottrarle il piccolo quando fosse venuto alla luce per venderlo a 28mila euro; aggiunse che altre due coetanee erano state costrette a prostituirsi. La difesa replicava che il racconto della parte offesa non era credibile, perché parlava mossa da spirito di vendetta per aver perso il figlio; che fu una libera scelta quella di prostituirsi; che le ragazze erano libere di muoversi, altro che segregate.

I ruoli – Il racconto della minorenne e di un’altra vittima ha retto al vaglio dei giudici. Nella ricostruzione accusatoria Febranel Costache, il capo famiglia, “controllava che le vittime gestite direttamente dai suoi familiari venissero mantenute in stato di schiavitù, il tutto attraverso aggressioni, privazioni, segregazioni cui assisteva con indifferenza; raccoglieva tramite la moglie almeno la metà dei proventi dell’attività di prostituzione”. La coniuge Poenita Chiriac “riscuoteva la metà dei soldi pagati dai clienti; in caso di controlli delle forze dell’ordine diceva d’essere la zia delle ragazze; le controllava per evitare fughe e/o che parlassero con qualcuno”. Il figlio Solomon Costache “esercitava sulle parti offese poteri corrispondenti al diritto di proprietà, mantenendole in stato di soggezione sino ad azzerarne con violenze e minacce quotidiane ogni capacità di autodeterminazione; le accompagnava sulla circumvallazione dove si prostituivano e si nascondeva tra i cespugli per controllarle”. La Iovanut “assisteva alle attività illecite senza intervenire in aiuto delle vittime; le controllava quando si prostituivano; e fu lei a proporre ai coimputati la possibilità di vendere il neonato per 28mila euro a un conoscente”.

Parte civile «La parte civile allora  minorenne, vittima delle feroci violenze.. ridotta in schiavitù, con coraggio denunciò i responsabili delle quelle atroci condotte. Oggi, la vittima, divenuta ormai donna, vede definitivamente puniti, da una giusta statuizione della Cassazione, i responsabili. Nessuno, tuttavia, potrà mai rimarginare le profonde ferite inferte alla giovane vittima e alla società tutta», ha dichiarato l’avvocato Oriana Laboragine.

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