Sabato 06 Dicembre 2025 | 14:44

Delitto Omar Trotta a Vieste, chiesto ergastolo per Bonsanto e 20 anni per Troiano

Delitto Omar Trotta a Vieste, chiesto ergastolo per Bonsanto e 20 anni per Troiano

 
Redazione Foggia

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Delitto Omar Trotta a Vieste, chiesto ergastolo per Bonsanto e 20 anni per Troiano

Il viestano di 31 anni fu ucciso il primo pomeriggio del 27 luglio 2017 nel suo ristorante “L’Antica bruschetta” sotto gli occhi di moglie e figlia di 7 mesi

Sabato 06 Dicembre 2025, 12:44

Il pm Ettore Cardinali della Dda ha chiesto l’ergastolo per Angelo Bonsanto (e 15 mesi di isolamento diurno come pena accessoria); e la condanna a 20 anni di Gianluigi Troiano. I due imputati sotto processo in corte d’assise a Foggia dal febbraio 2023, rispondono di concorso nell’omicidio aggravato da premeditazione, motivi abietti e dalla mafiosità di Omar Trotta, viestano di 31 anni, ucciso il primo pomeriggio del 27 luglio 2017 nel suo ristorante “L’Antica bruschetta” sotto gli occhi di moglie, figlia di 7 mesi; e del tentato omicidio del manfredoniano Tommaso Tomaiuolo, amico della vittima, che rimase ferito. Due sicari con caschi fecero irruzione e spararono. L’agguato è collegato alla rivalità tra i i clan locali Raduano e Perna/Iannoli; e s’inquadra nella più ampia guerra di mafia garganica tra i Lombardi/Ricucci/La Torre, ex clan Romito, alleati di Raduano; e i Li Bergolis, soci dei Perna/Iannoli. Il 12 dicembre spazio alle arringhe degli avv. Luigi Marinelli che difende Bonsanto; e Giovanni Signorile, legale di Troiano; sentenza il 19 dicembre. Una sessantina i testimoni tra cui 9 pentiti, interrogati in quasi 3 anni di udienze.

Bonsanto, 36 anni di Lesina, ritenuto un killer del clan foggiano Moretti “prestato” agli alleati garganici, è accusato da 6 pentiti d’essere uno dei due sicari. Troiano, 32 anni, viestano, pentitosi nell’autunno 2024, chiedendo scusa ai familiari della vittima ha confessato il ruolo attribuitogli da altri collaboratori di Giustizia: entrò nel ristorante, si accertò della presenza dell’amico Trotta, uscì, avvisò i sicari con un messaggio telefonico. Entrambi sono a piede libero per questa vicenda, ma detenuti per altro. Bonsanto in cella dall’11 agosto 2017, tranne un breve periodo di latitanza tra il 9 marzo 2020 e il successivo 12 aprile conseguenza dell’evasione dal carcere di Foggia con altri 71 detenuti, sconta un cumulo pene sino al 2031. Troiano fu catturato a Granada il 31 gennaio 2024 dopo oltre 2 anni di latitanza; si è pentito a processo in corso; sconta una condanna a 9 anni per traffico di droga, è in attesa di giudizio nel processo “Mari e monti” per mafia, spaccio di droga e rapina.

Per l’omicidio Trotta già condannati in via definitiva nel processo abbreviato 3 pentiti. Inflitti 20 anni a Marco Raduano, ex boss viestano, quale mandante che diede l’ordine di uccidere Trotta per vendetta, ritenendolo coinvolto nell’omicidio del cognato Gianpiero Vescera ammazzato a Vieste a settembre 2016. Condannati poi rispettivamente a 11 anni e 12 anni e mesi il viestano Danilo Pietro Della Malva e il mattinatese Antonio Quitadamo a 12 anni e 4 mesi che prima e dopo l’agguato diedero supporto ai 2 killer “forestieri”; sul secondo sicario ci sono sospetti su un foggiano affiliato al clan Moretti.

Parlando per 90 minuti ieri pomeriggio il pm ha elencato gli elementi a carico degli imputati, a cominciare dai pentiti senza i quali non ci sarebbe stato processo; rimarcato l’efferatezza dei sicari che spararono nonostante la presenza di una donna e una bimba; posto l’accento sull’alibi crollato di Bonsanto, anche per questo non merita la concessione delle attenuanti generiche; sottolineato il percorso di collaborazione con la Giustizia avviato da Troiano, con conseguente sensibile richiesta di ridurgli la pena sino a 20 anni. I legali di parte civile – vedova Trotta, Comune Vieste, Regione, Federazione antiracket – hanno chiesto la condanna dei 2 imputati.

A accusare Bonsanto 6 pentiti, i cui racconti - ha detto il pm in requisitoria - si sovrappongono e coincidono. Il viestano Della Malva nell’udienza del 26 maggio 2023 disse d’aver ospitato in un podere su richiesta di Raduano Bonsanto e l’altro sicario nei giorni precedenti il delitto, mentre Troiano informò i sicari della presenza della vittima nel ristorante. Il viestano Orazio Coda nell’udienza del 20 ottobre 2023 raccontò che Raduano gli fece il nome di Bonsanto, che successivamente in carcere nel 2018 gli confidò d’aver sparato a Trotta. Il mattinatese Antonio Quitadamo nell’udienza del 21 novembre 2024: “incontrai i due killer a Vieste, tra cui Angelo” (Bonsanto per l’accusa) “cui Raduano mostrò la foto di Trotta, foto che mi fu detto di bruciare. A Angelo consegnai la mia pistola calibro 38 che usò per uccidere Trotta, dopo aver ricevuto la telefonata da Troiano sulla presenza della vittima”. Il fratello Andrea Quitadamo nell’udienza del 22 dicembre successivo disse d’aver appreso in carcere che a sparare furono Bonsanto e un foggiano, mentre Troiano indicò la vittima. Troiano nelle udienze del 22 novembre 2024 e 4 aprile successivo confessò d’aver inviato un sms a Bonsanto per informarlo che Trotta era nel ristorante. Raduano nell’udienza del 10 gennaio 2025: “diedi l’ordine di uccidere Trotta, i miei alleati mi mandarono due killer, uno era Bonsanto che conobbi in quell’occasione. Dissi a Troiano di recuperare una foto di Trotta che mostrai ai sicari; Troiano fu incaricato anche di accertarsi che la vittima fosse nel ristorante”.

Nella ricostruzione del pm anche l’alibi franato di Bonsanto ne confermerebbe la colpevolezza. Nell’udienza del 24 ottobre scorso la difesa produsse un certificato medico attestante una visita cardiologica cui si sottopose l’imputato all’ospedale di San Severo alle 10.30 del 27 luglio 2017 giorno dell’omicidio Trotta, il che avrebbe smentito il racconto dei pentiti sulla presenza di Bonsanto a Vieste sin dal giorno prima dell’agguato. Ma nell’udienza successiva del 7 novembre il cardiologo escluse che la firma sul certificato fosse la sua. Bonsanto nell’udienza del 17 ottobre scorso parlò per la prima volta dall’incriminazione; si disse innocente; negò d’essere vicino al clan Moretti; accusò i pentiti di aver detto falsità sul suo conto; chiese alla corte un confronto con tutti coloro che lo avevano tirato in ballo.

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