FOGGIA - Il boss Salvatore Prencipe: «Compà, qua ci dobbiamo comportare bene; questo ambiente lo dobbiamo addrizzare un po’, qua Foggia la stiamo buttando di testa in giù. Se vuoi lavorare lavora…». Lo spacciatore provò a tirarsi fuori: «Io posso alzarmi domani mattina e dire anche che non voglio fare più niente, mi metto un’altra volta a vendere i giocattoli». Netta la risposta del capomafia: «Chi te l’ha detto a te? Com’è, prima ti sei ficcato in mezzo al mazzo delle carte e ora te ne esci? Ti sei mangiato prima le mele…. T’abbiamo rintracciato, altrimenti non ti venivamo nemmeno a rompere. Tu la stai prendendo là? A posto, il piacere è tutto nostro».
Tradotto in soldoni il diktat era che il pusher non poteva tirarsi indietro, ma doveva continuare a spacciare e rifornirsi dal clan o versare una percentuale sui guadagni. La filosofia criminale di Prencipe quando nei primi anni del nuovo secolo era ai vertici della “Società foggiana”, la spiegò un pusher all’amica, riferendole nel giugno 2004 cosa avesse detto e ordinato il capomafia.
Ora che Dda e squadra mobile indagano sull’omicidio di Prencipe ucciso a 59 anni la sera del 20 maggio davanti casa in viale Kennedy, ripercorrere il passato della vittima ne tratteggia lo spessore criminale e forse può aiutare a capire il movente dell’agguato. L’indagine “Discovery”, cui fa riferimento l’intercettazione, sfociò nel blitz del 17 dicembre 2004 con 9 arresti per un giro di cocaina in città; Prencipe non fu imputato perché già accusato di traffico di droga nel blitz “Poseidon” del 28 giugno 2004 con 30 arresti, in cui fu condannato a 13 anni e 6 mesi anche per estorsione: rimase in cella sino al 31 ottobre 2015 quando fu scarcerato, da allora il suo nome non è più comparso nelle numerose inchieste sulla mafia cittadina. Era stato un boss Prencipe, al vertice col cugino Federico Trisciuoglio (morto lo scorso 5 ottobre dopo lunga malattia) di una delle batterie della “Società”; comandava un clan coinvolto in 2 guerre di mafia; e «in virtù del suo ruolo apicale impose al gruppo di spacciatori le regole per acquisto e spaccio di droga», scrisse la Questura nel comunicato del blitz Discovery.
Nato il 18 agosto ’64, Prencipe già alla soglia dei trent’anni aveva fatto passi importanti nella “Società”, come sentenziò la corte d’assise del maxi-processo Panunzio (68 imputati: 21 assoluzioni e 47 condanne) che il 29 luglio ’94 gli inflisse 7 anni per mafia, ridotti poi a 3 anni e 6 mesi. «Il pentito Salvatore Chiarabella - scrissero i giudici - lo descrive come una persona di rispetto che in carcere comandava e aveva ricevuto "la santa" (quarto dei 7 gradi della carriera camorrista: ndr) mentre il pentito Salvatore Annacondia lo colloca nel gruppo di fuoco, e lo indica come uno dei responsabili del carcere».
Spessore criminale confermato dall’ultima inchiesta che vide coinvolto Prencipe, blitz Poseidon. Dalle intercettazioni a suo carico, del socio Trisciuoglio e altri indagati emersero i rapporti della batteria Prencipe-Trisciuoglio col clan Romito di Manfredonia per rifornirsi di droga. «Prencipe sebbene detenuto ai domiciliari, con la complicità di numerosi sodali - scrisse il gip di Bari che ne ordinò l’arresto - gestisce tutte le attività illecite del sodalizio, occupandosi personalmente di raccogliere i proventi delle attività illecite e di spartirli (nelle intercettazioni si parlava di “mangime”) e tramite… gestisce personalmente il traffico della cocaina, tant’è che chi era incaricato di questo settore si lamentava della pressione di Prencipe che desiderava essere costantemente informato sull’andamento dell’attività».