Sabato 27 Dicembre 2025 | 19:35

Quei «segnali di fumo» lanciati al mondo politico dalle regionali pugliesi

Quei «segnali di fumo» lanciati al mondo politico dalle regionali pugliesi

 
pino pisicchio

Reporter:

pino pisicchio

La Regione Puglia ai medici: «Segnalare eventuali casi di epatite»

La sede della Regione Puglia

Sabato 27 Dicembre 2025, 17:18

Oltre l’evidenza che si è manifestata potente con la conferma dei pronostici per il risultato personale del presidente eletto e l’ulteriore slittamento verso il baratro della disaffezione del corpo elettorale, scivolato al 42% ( dal 56,87 del 2020), ed anche oltre la chiara sgangheratezza di una legge elettorale scritta evidentemente in un momento di distrazione dionisiaca dell’assemblea legislativa, il risultato delle regionali pugliesi racconta più cose di quanto non appaia ad una prima lettura. Cose che val la pena registrare perché hanno una rilevanza sistemica e non solo territoriale.

Una prima segue la traccia già rilevata da De Feudis su queste colonne e riguarda le liste civiche. Le civiche non sono una novità assoluta del tempo odierno, perché erano presenti già nella prima Repubblica ma con una numerosità centellinata: era il tempo in cui i simboli dei partiti che si trovavano in Parlamento erano gli stessi a fronteggiarsi anche sul territorio, poiché le leggi elettorali che producevano la rappresentanza erano le stesse, solo in scala più grande sul nazionale e più ridotta nei Comuni e nelle Regioni. La divaricazione odierna tra le formule elettorali che eleggono i parlamentari con le liste bloccate e i locali col voto di preferenza, ha separato anche le comunità politiche, spezzando la coesione della forma-partito, ormai divenuta sempre più organizzazione leaderistica. Per cui le liste civiche sono spesso espressione di un leaderismo locale che si organizza in genere «a prescindere» da precise identità politico-ideologiche (ammesso che sopravvivano ancora), aperte ad una certa flessibilità post-ideologica, e non offrono garanzie di stabilità temporale. In questa tornata elettorale, per quanto il numero complessivo delle liste civiche presenti sia calato rispetto alla passata (civiche doc solo cinque, di cui tre nel centro sinistra e due minori legate candidati civici, a fronte della ventina, di cui 14 solo nel Centro Sinistra, presentatesi nel 2020), i consensi andati alle civiche hanno rappresentato circa il 26% del totale e addirittura il 40,4% dei voti raccolti dalle liste coalizzate nel Centro Sinistra.

Nella scorsa tornata, che segnò il punto più alto dei brand locali, le liste civiche avevano rappresentato quasi un terzo dei voti validi ( 32,7%) e più della metà dei voti del Centro-sinistra vittorioso (51,4%). Cosa è successo? Semplicemente si è provato, soprattutto nell’area del Centro-sinistra, a concentrare gli sforzi per raggiungere risultati all’altezza di uno sbarramento impegnativo, complicato dalla trappola di un 4% tromp l’oeil perché non si calcola sulla base del rapporto tra singole liste e totale dei voti andati alle liste in tutta la regione, ma si carica anche del di più dei voti presi dai candidati presidenti. Lo strano codicillo è servito, nonostante gli accorgimenti, a spazzare via tre liste, due nella coalizione a sinistra e una in quella di destra, che avevano superato «in purezza» la fatidica soglia del quattro. Ma questo turno elettorale non si comprende pienamente se non si pone attenzione alle preferenze, esplose con scintillii da prima Repubblica. Abbiamo preso in esame la circoscrizione di Bari, la più grande e significativa della regione, dove con 23.000 voti di preferenza si è rimasti fuori dall’assemblea e dove il numero complessivo delle preferenze espresse ha superato di quasi ventimila voti la somma di tutti i voti di lista. Ora, è vero che per l’elettore era possibile esprimere anche una seconda preferenza di genere, peraltro adoperata con una certa parsimonia, ma, volendo considerare con generosità che almeno un 30% degli elettori abbia fatto così, e di conseguenza sottraendo per intero quel pacchetto di elettori dal computo finale delle preferenze espresse (basterebbe la metà), avremmo comunque un numero altissimo di persone portate al voto per mano dai candidati: ad occhio e croce senza questo traino poco meno del 20% di elettori si sarebbe recato alle urne.

Se questa «favola elettorale» ha una sua morale racconterà sì della disaffezione dei cittadini per la politica che ormai sembra discesa negli inferi dell’indifferenza, in parte mascherata dal voto di preferenza, ma anche della distanza tra il livello nazionale e quello locale: le due fasce di rappresentanza non s’incontrano più. E decisamente non è una cosa buona.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)