Mercoledì 24 Dicembre 2025 | 16:47

Tavole imbandite e tesori nascosti: a Sud la cucina natalizia tra identità e primati

Tavole imbandite e tesori nascosti: a Sud la cucina natalizia tra identità e primati

 
pino aprile

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pino aprile

Puglia, la festa dell’Immacolata apre le tavolate per il Natale

I tesori della nostra storia meritano maggiore valorizzazione. In un tempo in cui la gastronomia diviene argomento dominante, sono da far fruttare flussi corposi di turismo dedicato

Mercoledì 24 Dicembre 2025, 13:28

La battuta è vecchia, ma con un fondo di verità: «Non è vero che i terroni, a Natale e Capodanno si mettono a tavola a mezzogiorno e continuano sino alla cena, quando ricominciano; ma si mettono a tavola a Natale e si alzano alla Befana». Per dire che se altri mammiferi, nel cuore dell'inverno, vanno in letargo, i meridionali vanno in sovrappeso: è un appuntamento biologico di massa e lo si rispetta con l'aggiunta di sapore identitario, perché si mangiano (stavo scrivendo “strafocano”, ma non sarebbe stato fine...) “le cose buone di una volta”. La tradizione riempie la pancia e ci conferma nel nostro modo di essere come siamo.

Il tema è attualissimo, anche perché la Cucina italiana è appena stata riconosciuta dall'Unesco Patrimonio immateriale dell'umanità. E, nell'euforia del successo, è stato autorevolmente dichiarato che è la prima al mondo a potersi fregiare di cotanta targa, dimenticando che, dal 2010 a oggi, ci hanno preceduto francesi, messicani, giapponesi e coreani. E che, nel 2013, l'Unesco incoronò la Dieta mediterranea

A tal proposito, anche per coinvolgimento personale, va detto che a raggiungere quel traguardo non fu il ministero dell'Agricoltura (ribattezzato, restate seri, please: del Made in Italy), come ora, ma il sindaco di un piccolo, delizioso paese, fatto di sei frazioni, di cui due sul mare: Pollica, in Cilento. Lì andò a vivere Ancel Keys, scopritore della Dieta mediterranea. Quel sindaco (eravamo amici) era Angelo Vassallo, poi ammazzato con nove colpi di pistola, per non essersi piegato alle mire della criminalità (forte di insospettate complicità fra chi doveva contrastarla), sul Comune che lui amministrava.

Angelo si vide ostacolato, nella sua azione verso l'Unesco, proprio dal governo italiano: una sottosegretaria leghista, infastidita da questi primati terronici, protestò che nella Dieta mediterranea (fondamentalmente vegetariana, con poca carne e di animali piccoli) non c'era la cassoela, piatto lombardo a base di carne di porco (specie i tagli del “non si butta niente”) e salcicce, con la verza. Ovvero, la smentita della Dieta mediterranea.

Angelo, indomabile, aggirò l'ostacolo, coinvolgendo nella sua richiesta all'Unesco Paesi meno stupidi del nostro: Grecia, Marocco, Spagna. Due mesi dopo il suo assassinio (ai suoi funerali, ad Acciaroli, c'erano ministri ed ambasciatori), l'Unesco accettò la proposta di Angelo, anche per “onorare”, era detto nella motivazione, un grande uomo, un coraggioso e onesto amministratore.

Dodici anni dopo, la Cucina italiana ottiene lo stesso riconoscimento. E non immeritatamente, come ognuno di noi sa quando si siede a tavola. E anche se mangia in piedi un panzerotto (sporgendosi in avanti, come si sa, per sfuggire agli “spari” di sugo): cito non a caso, visto che la cugina, la pizza napoletana, è anch'essa Patrimonio dell'umanità.

Ma nella campagna nazionale per l'incoronazione della Cucina italiana, qualcosa ha disturbato: ci si è (volutamente, visto il precedente già premiato della Dieta mediterranea?) tenuti strettini sulle radici meridionali della cucina italiana. Per esempio, è stata totalmente ignorata la nostra Oria e il fondamentale apporto di Vincenzo Corrado, il filosofo e gastronomo che lì nacque e che divenne una star del suo secolo, il Settecento, proprio per come trasformò l'attenzione al cibo in un modo alto e pur popolare di fare cultura, tanto da essere ribattezzato Il Grande Oritano.

Giustissima, negli spot promozionali, la valorizzazione dell'opera di Pellegrino Artusi, che divulgò i tesori della cucina italiana. Ma un secolo dopo Corrado che, con il suo “Il cuoco galante”, gettò le basi della moderna letteratura gastronomica. Per capire quanto Il Grande Oritano fosse in anticipo sui tempi e attuale ancora oggi, basterebbe citare un altro suo testo: “Del cibo pitagorico ovvero erbaceo”. Ricette per vegetariani. Nel Settecento!

Spero di non aver visto, per colpa mia, mie disattenzioni, interventi della campagna in favore della Cucina italiana che riequilibravano i pesi circa il contributo meridionale (che ovviamente, è un derivato della storia: quanti sanno che si mangia sostanzialmente bizantino sulla costa e longobardo nell'interno? Più tutto il resto...).

E in questi giorni, sino alle vacche magre post-epifania per dieta rientra-nella-taglia, pur non sapendo, spesso, che stiamo saccheggiando i libri di Corrado, al Sud, e non solo al Sud, riempiremo la tavola e la pancia con le sue ricette.

Nota e pignola la contesa internazionale sulla “cotoletta alla milanese” (con l'osso e il burro) e l'antenata austriaca (senza osso e lo strutto). Ma parliamo del 1855, la prima, e del 1831, l'altra. Si tralascia che nel 1791, Vincenzo Corrado le faceva a Napoli, quale “Maestro di bocca” del principe di Francavilla, elaborando una ricetta francese.

I tesori della nostra storia meritano maggiore valorizzazione (ce ne occupiamo poco, perché ne abbiamo troppi, forse). Ma in un tempo in cui la gastronomia diviene argomento dominante, di successo, e gli chef sono popolari come rock-star, che il padre della moderna letteratura sul tema sia pugliese dovrebbe rendere Oria, la sua patria, una sorta di santuario del gusto, fruttare flussi corposi di turismo dedicato.

Su una modestissima mia indicazione (anche gli orologi rotti hanno ragione due volte al giorno) Cosimo Ferretti, sindaco di Oria, e la sua giunta, hanno avviato un programma per fare dell'opera di Corrado un pilastro del turismo locale. La prima iniziativa ha visto convergere lì uno dei più convinti ammiratori del Grande Oritano (ha acquistato una copia originale de “Il cuoco galante”), Peppe Zullo, chef “televisivo” tornato in Puglia dopo la carriera in America: a Orsara, per lui, giungono clienti e seguaci da tutto il mondo; e Antonello Di Pinto, storico dell'arte (lo sapevate che la pittura padana del Settecento illustra tanta roba da mangiare, mentre quella napoletana no? Se si disegna quello che si sogna...); ed Emilio Pompeo, chef, già attore e cantante, che ha impersonato Vincenzo Corrado, mentre preparava uno dei suoi piatti. E a fine recita, buon appetito; e Gennaro Avano, uno dei maggiori studiosi di Corrado e di letteratura gastronomica. Il divo Al Bano, vicino di casa (Cellino confina con Oria) ha voluto che il vino fosse delle sue cantine.

Il progetto è appena agli inizi e forse dovrebbe spaziare ben oltre i confini e le risorse di Oria. Ma vale per tutta la regione: cosa farebbero altri, se i tre italiani più amati d'America fossero della loro regione? Nel caso specifico: Fiorello La Guardia, da Cerignola, sindaco di New York; Rodolfo Valentino, il primo divo del cinema, da Castellaneta; Domenico Modugno, da Polignano a mare.

E uno dei principali rinnovatori della musica occidentale, Giovani Paisiello, era di Taranto; uno dei padri della moderna disciplina economica, Giuseppe Palmieri, salentino di Martignano; il genio che spaziava dalla letteratura all'arte militare, all'alchimia, alla letteratura, all'esoterismo, Raimondo di Sangro, era di Torremaggiore; e di Noicattaro era il maestro Ernesto Abbate, compositore, padre delle bande musicali e della “marcia sinfonica” (i giapponesi lo conoscono e ne sanno molto più di noi).

E pensate cosa farebbero altrove se Carmelo Bene fosse nato da loro; e chi ideò il vocabolario “dell'italiano parlato”, unico ancora oggi, a distanza di un secolo, e aggiornato ogni anno, il primo a essere venduto a fascicoli, Nicola Zingarelli, era di Cerignola (si diceva ci avesse così tanto aiutato a capirci fra noi che “Cavour fece l'Italia, ma Zingarelli fece gli italiani”); ed era di Bari il primo militare italiano a guidare un'azione della Resistenza, contro i tedeschi, Nicola Bellomo (poi incredibilmente fucilato dagli inglesi e riabilitato e decorato anni dopo). E...

E dalla cucina alla musica, alla scienza, alla letteratura, all'economia, alla politica, eccetera, questa faccenda dell'Unesco che premia la gastronomia italiana, nonostante sia stata presentata un po' zoppa a Sud, forse deve indurci a chiederci se non possiamo ottenere di più (lavoro, stima, benessere, orgoglio), semplicemente dando giusto valore a quel che abbiamo. E, detto senza presunzione: che siamo. Perché per quanto malriusciti si voglia, di quello e di quelli siamo figli.

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