Per capire cosa serva oggi al centrodestra in Puglia, occorre tornare al 2005, quando la sfida tra Fitto e Vendola segnò l’inizio di una lunga stagione politica. La sconfitta di Fitto non fu casuale: la sua visione efficientista della sanità, coerente con i piani nazionali e basata su razionalizzazioni e chiusure di presidi ospedalieri, in una regione dove lo Stato e i suoi servizi di welfare sono percepiti come l’anello di prossimità ai bisogni quotidiani dei cittadini, fu interpretata come una sottrazione di diritti fondamentali.
Vendola seppe intercettare questo sentimento con la sua «rivoluzione gentile»: un messaggio rassicurante e identitario, radicato nel pensiero meridiano di Franco Cassano, che proponeva un Sud non più periferia, ma protagonista di un’altra modernità, fatta di relazioni, dialogo e cultura. Quel messaggio aprì la strada a un processo che, nel tempo, consolidò il centrosinistra e marginalizzò il centrodestra.
Su questa base si innestò l’azione di Michele Emiliano che, approfittando anche della debolezza di molta classe dirigente, incapace di esprimersi politicamente restando al di fuori dei centri di potere, ampliò il perimetro della coalizione di centrosinistra fino a ricomprendervi varie espressioni della società civile, radicandosi nelle istituzioni, nei corpi intermedi e nella società pugliese. In questo modo, il centrosinistra realizzò ciò che molti ritenevano impossibile: rendere egemone una cultura politica che, in Puglia, storicamente sembrava non avere terreno fertile.
Da qui una constatazione amara ma inevitabile: la destra non è stata marginalizzata solo negli uomini e nell’elettorato, ma anche e soprattutto nel pensiero politico e culturale. Si cita spesso come esempio Tatarella e la sua prospettiva «oltre il polo», ma, paradossalmente, Emiliano ha fatto a sinistra esattamente ciò che lui auspicava per la destra. Tutto ciò che è accaduto dopo è stata la diretta conseguenza: sindaci eletti, figure locali cresciute politicamente e potentemente, carriere costruite grazie a quella egemonia culturale.
E allora, cosa serve oggi al centrodestra? Certamente non basta l’illusione di trovare un «uomo forte» o una personalità carismatica capace da sola di scalfire una corazzata che naviga indisturbata da quasi vent’anni. Non la si può affondare con colpi improvvisati. Serve altro, esattamente ciò che nel 2005 fece la sinistra: serve un pensiero nuovo.
Un pensiero che metta al centro le giovani generazioni, che saranno la Puglia del 2030, la futura classe dirigente. Sono loro i veri protagonisti, che vanno liberati dall’emigrazione forzata e messi in condizione di costruire qui il loro futuro. Il nuovo motto della destra dovrebbe essere chiaro: «Make Apulia Young».
Questo non significa abiurare il pensiero meridiano di Cassano, che mantiene ancora oggi la sua potenza ispiratrice, ma piuttosto coniugarlo con una visione di economia solida, innovativa, tecnologicamente avanzata. Il cuore della questione sta nel mondo delle università e delle imprese, che ancora non riescono a generare un ecosistema dinamico di startup. I numeri parlano chiaro: meno del 5% delle startup italiane nasce in Puglia. Mancano investitori, capitale di rischio, burocrazia snella, internazionalizzazione. E intanto i nostri giovani più brillanti partono e costruiscono altrove il futuro che qui non riescono a trovare.
Ma la Puglia non è solo una terra povera di acqua (a-pluvia), è una regione straordinariamente ricca di storia e di cultura, collocata nel cuore del Mediterraneo. Una lingua di terra che potrebbe fare della logistica e dell’interconnessione una leva decisiva, e che invece fatica a valorizzare infrastrutture come il porto di Taranto. Nel Mediterraneo si combattono guerre feroci per il controllo delle rotte e degli sbocchi al mare: noi siamo affacciati su questo teatro, forse non del tutto consapevoli delle grandi potenzialità che abbiamo.
Il fenomeno migratorio, per esempio, non va subito, ma governato con intelligenza, trasformandolo in opportunità. È questa la vocazione geopolitica e culturale della Puglia: cerniera e ponte nel Mediterraneo.
Il centrodestra deve maturare questa consapevolezza: non serve bruciare classe dirigente lanciandola in competizioni impari senza un pensiero forte. Serve un progetto, una visione, una strategia. Mi piace ricordare, non troppo banalmente, una partita di calcio del 1999: Bari-Inter (2-1). In quella gara storica, Fascetti lanciò in campo l’appena diciassettenne Antonio Cassano, che cambiò le sorti della partita. Ma il mister, con saggezza, disse che il ragazzo aveva talento straordinario, ma doveva ancora farsi le ossa, e lo tenne ancora in panchina, pur concedendogli numerose partite. Se lo avesse esposto troppo, probabilmente non sarebbe diventato il campione che è stato.
La lezione è semplice: non basta un campione. Bisogna costruire lo schema di gioco e la squadra. Solo così i talenti sbocceranno.
La destra pugliese ha oggi davanti a sé una sfida che non è di breve respiro né di mera conquista elettorale. È la sfida di ricostruire un pensiero, un progetto e una comunità politica che sappia parlare al futuro della Puglia. Non servono scorciatoie né leader salvifici: servono idee chiare, investimenti sui giovani, capacità di visione. Solo così il centrodestra potrà tornare a essere protagonista, non per abbattere l’avversario, ma per offrire ai pugliesi un’alternativa credibile e duratura.
















