Negli ultimi giorni le cronache estive ci mostrano immagini di lidi pugliesi meno affollati del solito. Puntuali sono arrivati i commenti politici: i leader del cosiddetto “campo largo”, da Elly Schlein a Giuseppe Conte, hanno accusato il governo Meloni di aver impoverito gli italiani e, in particolare, il ceto medio. Ma i dati Eurostat, ripresi e verificati da Pagella Politica, raccontano un’altra storia: è vero che nel 2024 il 31,4% degli italiani dichiarava di non potersi permettere una settimana di vacanza, ma è anche vero che si tratta del valore più basso dal 2004, anno da cui sono disponibili le rilevazioni. Un miglioramento netto rispetto al 37,5% del 2021 e al 51% del 2013.
La verità è più semplice, e anche più scomoda: il turismo balneare non è un settore “anelastico”. Quando i prezzi salgono troppo, la domanda scende.
È il concetto di elasticità della domanda: se per due lettini e un ombrellone in alta stagione si sfiorano i 150 euro al giorno, non ci si può sorprendere se molte famiglie scelgono mete alternative o vacanze diverse. Non servono complotti, crisi globali o capri espiatori politici: è il mercato, bellezza.
E qui arriva l’occasione persa dall’opposizione. Invece di agitare slogan economici inconsistenti, avrebbe senso incalzare il governo su una riforma attesa da anni: l’attuazione della direttiva Bolkestein e la messa a gara delle concessioni balneari. Una vera rivoluzione che significherebbe concorrenza reale, canoni congrui allo Stato (da destinare a servizi pubblici o riduzione delle tasse), prezzi più competitivi e qualità migliore per i consumatori.
Oggi invece ci troviamo con concessioni bloccate, canoni rimasti pressoché invariati dal 1980 al 2020, e solo nel 2021 aumentati dal governo Draghi (da un minimo di 360 euro a 2.500 euro). Nel 2023, grazie agli adeguamenti Istat, si è saliti a 3.377 euro, per poi scendere a 3.225,5 nel 2024 complice la frenata dell’inflazione. Numeri ancora modesti rispetto al valore reale delle aree più pregiate.
Forse è anche per questa incapacità di proporre un’alternativa concreta che i sondaggi continuano a premiare il governo. Il sistema turistico italiano non ha bisogno di essere strattonato da una parte o dall’altra per esigenze di propaganda politica, ma di abbandonare vecchie rendite di posizione e reinventare la propria offerta. Il mare è di tutti, ma le regole per gestirlo devono premiare i migliori, non i soliti noti. Tutto il resto sono ombrelloni chiusi e polemiche agostane.