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A breve il sorpasso su Renzi, così Meloni può vincere la sfida della longevità

A breve il sorpasso su Renzi, così Meloni può vincere la sfida della longevità

 
Francesco Giorgino

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Francesco Giorgino

A breve il sorpasso su Renzi, così Meloni può vincere la sfida della longevità

Tra due giorni, il 12 agosto, il governo guidato da Giorgia Meloni diventerà il quarto più duraturo della storia repubblicana

Domenica 10 Agosto 2025, 12:00

Tra due giorni, il 12 agosto, il governo guidato da Giorgia Meloni diventerà il quarto più duraturo della storia repubblicana. Non è un risultato di poco conto, considerando che dal dopoguerra in poi l’instabilità degli esecutivi è stata uno dei mali più grandi del nostro sistema politico e istituzionale. Da più parti è stata lamentata la difficoltà ad assicurare al Paese una prospettiva a medio e lungo termine per i giochi di potere della partitocrazia e della correntocrazia. Martedì prossimo la Meloni raggiunge i 1025 giorni a Palazzo Chigi. Un giorno in più di Matteo Renzi. Ad ottobre prossimo dovrà battere il record di Bettino Craxi e a settembre 2026 quello, ancor più significativo, di Berlusconi. C’è da scommettere che alla fine conseguirà il primato di governo più longevo in senso assoluto.

La premier gode di un’ampia e solida maggioranza sia al Senato, sia alla Camera. È vero, i partiti che la sostengono sono talvolta in competizione tra loro: nel contesto della «campagna elettorale permanente» l’esibizione muscolare per finalità mediatiche rappresenta per tanti una tentazione irrinunciabile. Tuttavia, nessuno pensa che le rivendicazioni e i distinguo dei propri alleati siano in grado di mettere in discussione la conclusione della legislatura a scadenza naturale. L’indice di gradimento nei confronti di Meloni è molto più alto di quello registrato da tutti gli altri leader politici. Il suo partito, Fratelli d’Italia, è sempre in vetta ai sondaggi. La sua è una leadership forte, credibile, autorevole. Una leadership apprezzata anche da parte di chi per ragioni politiche è distante dalla sua storia. Capita sovente, infatti, di ascoltare tra gli intellettuali e la classe dirigente del nostro Paese ragionamenti del tipo: la cultura politica della premier è diversa dalla mia, ma le va riconosciuto che è brava, coerente, comunicativa, insomma che è la migliore risorsa che abbiamo in campo.

Allontanato, dunque, lo spettro degli esecutivi lampo, l’attuale Presidente del Consiglio ha saputo costruire un modello di leadership multidimensionale. Ricorrendo alle categorie del corporate management si può definire la sua leadership politico-istituzionale in tre modi: situazionale, visionaria e affiliativa. Nel primo caso, la leadership situazionale, si tratta di adattarsi ad un contesto, che specie a livello geopolitico e geoeconomico, comporta capacità di adattamento delle risposte politiche a situazioni che cambiano repentinamente e che dipendono più da fattori esogeni che da fattori endogeni. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla necessità di muoversi in equilibrio tra l’amministrazione americana e la governance europea per agevolare i reciproci canali di comunicazione con azioni che, anche se non roboanti, appaiono decisive per la tutela degli interessi dell’Italia dentro il più ampio quadro della valorizzazione dell’Occidente e del rilancio dell’Europa. Nel secondo caso, ovvero la «leadership visionaria», si tratta di subordinare la mission (l’azione di governo vera e propria) alla vision (la prospettiva agentiva favorita dalla stabilità). Il che comporta l’adozione di soluzioni strategiche più che tattiche. Ed è qui che si inserisce la terza fattispecie, ovvero la «leadership affiliativa». È forse la condizione più visibile ad occhio nudo: la Meloni guida con piglio deciso la macchina del governo e non fa nulla per nascondere in pubblico questo suo ruolo di regista. Ruolo che, si badi bene, non è accentramento di potere, ma assunzione di responsabilità individuale e determinazione al coordinamento. La «leadership affiliativa» comporta, infatti, che uno dei compiti del Capo di Governo sia quello di mediare e fare sintesi, creando un ambiente politico armonioso, nonostante alcune differenze con i propri alleati.

In ambito economico la Meloni può rivendicare una gestione oculata dei conti pubblici che viene ripagata con la fiducia dei mercati, il calo dei tassi di interesse, il ribasso dello spread: quando è arrivata a Palazzo Chigi il suo valore oscillava intorno ai 230 punti base, venerdì scorso era ad 82. Risultati positivi sono stati conseguiti relativamente al Pnrr e in materia di occupazione. Tre giorni fa la Commissione Europea ha approvato l’erogazione della settima rata del Pnrr pari a 18,3 miliardi di euro in seguito al conseguimento di tutti gli obiettivi previsti. Negli ultimi due anni e mezzo sono stati creati più un milione di posti di lavoro con un’occupazione arrivata al massimo storico: oltre 24,3 milioni. Un dato importante che, tuttavia, dipende anche da altri fattori. È sufficiente? Certo che non lo è. Bisogna ancora creare le condizioni affinché la crescita sia meno asfittica, affinché aumenti la produttività, si riduca il «caro energia», si contengano gli effetti negativi dei dazi americani e aumentino realmente i salari. In questo riepilogo va ricordato che sono cresciuti gli stanziamenti in sanità, visto che nel 2025 si supereranno i 135 miliardi: cifra che si riferisce, però, al valore nominale.

In politica estera il governo Meloni non solo ha evitato che si attribuisse all’Italia l’etichetta di Paese euroscettico (che ci avrebbe isolato), ma ha anche compiuto scelte giuste come quelle sull’Ucraina, mostrando nel contempo molta prudenza sulla complessa questione israelo-palestinese, senza mai sottovalutare la drammatica situazione della popolazione della Striscia di Gaza e quella degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Significativa è stata poi la scelta fatta in Africa. Il Piano Mattei è il fulcro di una strategia che si basa su relazioni politiche ed economiche di cui si avvantaggiano i grandi gruppi italiani e che ha portato, altresì, alla realizzazione di accordi con alcuni dei Paesi di partenza e di transito dei migranti. Infine, pur senza entrare nel merito (poiché servirebbero altre analisi), si può sostenere che alcune delle riforme annunciate sono state realizzate: giustizia, sicurezza, fisco, lavoro e welfare, pubblica amministrazione, sostegno della famiglia e della natività. Altre riforme sono state accantonate: si pensi al premierato e all’autonomia differenziata. Altre ancora necessitano di aggiustamenti, come nel caso dell’immigrazione e dei centri in Albania.

Grazie alla stabilità di cui può godere l’attuale esecutivo e all’assenza di una vera alternativa da parte dell’opposizione e grazie alla volontà della premier di diventare riferimento anche per i moderati (sono il suo valore aggiunto!), è molto probabile che la Meloni continui a guidare il Paese anche nella prossima legislatura. Motivo in più perché allarghi il cerchio delle persone di cui fidarsi e continui a mostrare sempre più il suo volto istituzionale.

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