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Nulla è perduto, la «Puglia di sotto» ora può rinascere

Nulla è perduto, la «Puglia di sotto» ora può rinascere

 
Domenico Santoro

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Domenico Santoro

Nulla è perduto, la «Puglia di sotto» ora può rinascere

E' quella che guarda al Mediterraneo con lo sguardo lungo di chi ha conosciuto civiltà antiche e le ha ospitate, intrecciandosi con la Lucania e la Calabria

Venerdì 08 Agosto 2025, 15:00

C’è una Puglia che non si fa notare con clamore, ma che vibra di storia e bellezza. È la «Puglia di sotto», quella che guarda al Mediterraneo con lo sguardo lungo di chi ha conosciuto civiltà antiche e le ha ospitate, intrecciandosi con la Lucania e la Calabria in un abbraccio naturale di cultura, paesaggio e memoria.

È la Puglia della Magna Grecia, che risplendeva quando Roma era ancora un villaggio di pastori. Un territorio che si rivela in tutta la sua forza dopo aver scollinato la Murgia, dove l’orizzonte si spalanca fino quasi all’Africa e la luce cambia, diventa intensa, calda, narrante. Sopra Massafra si trova un luogo emblematico: Cernera, dal latino cernere, cioè osservare. Un’altura strategica che, secondo un’antica narrazione - non documentata ma intrisa di fascino - sarebbe stata utilizzata dai soldati romani per avvistare le navi nemiche. Oggi, da quel punto privilegiato, si apre un panorama millenario: canyon profondi, gravine scolpite nella roccia, abitate e modellate dall’uomo oltre mille anni fa. Le grotte parlano ancora, attraverso affreschi di rara bellezza. Ogni anfratto è un archivio aperto di umanità.

Questa è una Puglia fuori dai circuiti del turismo da cartolina, ma dentro una storia comune che unisce Grottaglie a Matera passando per paesi e piccoli borghi, luoghi che condividono morfologia, memoria, silenzi e pietra. Qui sono passati i Greci, i Bizantini, i Normanni, gli Angioini, gli Spagnoli, i Borboni. Poi è arrivata l’Unità d’Italia - e con essa, una curiosa sospensione storica, quasi che quel flusso vitale si fosse improvvisamente spento.

Negli anni Settanta, il prof. Cosimo Damiano Fonseca - grande medievalista di fama internazionale - studiò a fondo questo territorio, riconoscendone anche alcune somiglianze con la Cappadocia, tanto nella conformazione quanto nella spiritualità dei luoghi. I suoi lavori sulla civiltà rupestre hanno attraversato il mondo accademico, ottenendo riconoscimenti e autorevolezza. Eppure, quei contributi non sono riusciti ad attecchire nella coscienza collettiva né a influenzare una politica locale spesso distratta, discontinua o priva di visione.

Il turismo? Una potenzialità colossale che si è lasciata scivolare tra le dita. Mentre la dorsale adriatica - da Vieste a Santa Maria di Leuca - registra il tutto esaurito, da questa parte della regione si fatica a far accadere qualcosa. Eppure, i tentativi non sono mancati. Il progetto del Valentino a Castellaneta Marina fu una visione concreta e ambiziosa. E negli ultimi anni anche Vasco Rossi ha scelto questo lembo di costa come rifugio estivo, probabilmente attratto dalla sconvolgente bellezza della foce del fiume Lato. Ma sono episodi isolati, oasi in un deserto di programmazione.

Il resto è una lunga attesa. Le solite rassegne estive, spesso segnate da logiche clientelari, che cambiano solo il manifesto ma non la sostanza. E i giovani, ogni domenica, in esodo verso il Salento o l’entroterra barese, dove la cultura, la musica, l’intrattenimento trovano spazio e dignità. Da questa parte della collina, invece, tutto resta sospeso.

Chi deve occuparsene? La politica? Vien da sorridere. Serve piuttosto una nuova consapevolezza, una visione condivisa, che parta dal basso ma coinvolga anche le istituzioni capaci. Una visione che sappia leggere questa area omogenea come un sistema integrato da proporre al mondo non con l’arroganza del marketing, ma con l’autenticità della cultura.

Questa parte della Puglia può e deve diventare la terza grande meta regionale: dopo il Gargano e il Salento, un luogo per un turismo maturo, meno chiassoso e più curioso. Un turismo che sappia strizzare l’occhio agli «Ori di Taranto», ma che si lasci incantare dalle gravine, dai villaggi rupestri, dalle tradizioni vive. Un turismo non stagionale, che viva tutto l’anno di itinerari storici, spirituali, naturalistici.

D’altronde, nei primi anni cinquanta Matera fu definita «la vergogna d’Italia». Oggi è patrimonio dell’umanità. Nulla è perduto. Ma serve guardare davvero questo Sud dimenticato per coglierne la bellezza e rimetterlo finalmente in cammino.

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