Sabato 06 Settembre 2025 | 15:14

Hanno voglia di riforma, ma non di combattere contro la giustizia lenta

 
Giovanni Zaccaro

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Giovanni Zaccaro

Hanno voglia di riforma, ma non di combattere contro la giustizia lenta

Gli operatori del diritto hanno fatto il massimo e non si può chiedere un ulteriore aumento della produttività (ossia delle sentenze scritte) se non al costo- insostenibile per i diritti dei cittadini- di ridurne la qualità e la cura delle decisioni.Tocca al Governo ed al Parlamento

Domenica 13 Luglio 2025, 13:00

Il sempre arguto Enzo Augusto ha messo il dito nella piaga: la giustizia italiana funziona? La risposta è sempre quella: forse, ma è troppo lenta.

Eppure in questi anni, il Ministro Nordio si è impegnato nel progetto di riforma costituzionale della magistratura, che per sua stessa ammissione non servirà a fare funzionare meglio la giustizia italiana (ed a mio avviso è pure pericolosa).

Tralascio per una volta gli aspetti pericolosi della riforma Nordio e cerco un’analisi laica dello stato della giustizia italiana.

Anni fa, per uscire dalla crisi pandemica, la Commissione Europea elargì decine di miliari di euro al nostro Paese, con l’impegno però di raggiungere alcuni risultati.

Alcuni di questi obiettivi riguardavano proprio la Giustizia, da raggiungere entro il giugno 2026, pena la restituzione dei fondi elargiti.

Grazie all’impegno di magistrati, avvocati e cancellieri sono stati quasi tutti raggiunti. È stato abbattuto del 95% l’arretrato in materiale civile. La durata media dei processi penali si è ridotta del 28% (più del previsto). Resta da raggiungere l’ultimo e più ambizioso: ridurre del 40% la durata media dei processi civili (ad inizio 2025 eravamo alla riduzione del solo 20%).

Orbene, il Governo, piuttosto che riformare la magistratura, fra l’altro delegittimandone l’operato un giorno si e l’altro pure, cosa sta facendo per raggiungere questo obiettivo? Ad oggi nulla di significativo.

Le scoperture del personale amministrativo sono drammatiche: sfiorano la media nazionale del 50 %.

L’informatica giudiziaria funziona a singhiozzo.

Nel frattempo, le sopravvenienze (le nuove cause civili introdotte) aumentano, soprattutto a causa delle politiche nazionali in tema di immigrazione e cittadinanza.

Non possiamo restituire decine e decine di miliardi e dunque tutti dobbiamo impegnarci per raggiungere gli obiettivi richiesti.

Ma lo sforzo deve essere comune. Gli operatori del diritto hanno fatto il massimo e non si può chiedere un ulteriore aumento della produttività (ossia delle sentenze scritte) se non al costo- insostenibile per i diritti dei cittadini- di ridurne la qualità e la cura delle decisioni.

Tocca al Governo ed al Parlamento.

Serve rivedere le norme e le prassi amministrative che creano un contenzioso inutile perché negano o rallentano l’affermazione di diritti, che poi sistematicamente vengono riconosciuti nei tribunali, sia pure dopo anni di processi e con gran sperpero di tempo e risorse che la giurisdizione potrebbe destinare altrove.

Gran parte delle cause pendenti in Cassazione riguardano la materia tributaria, si potrebbe prevedere che l’adesione dei contribuenti al concordato col Fisco faccia decadere in automatico i relativi processi tributari, così «cancellando» parte del contenzioso.

Gran parte delle cause pendenti, soprattutto in Veneto, riguardano le istanze dei discendenti dei cittadini italiani, emigrati in Sudamerica, per il riconoscimento della cittadinanza italiana. Le Sezioni Uniti civili della Cassazione (la massima autorità giurisdizionale del Paese) hanno da tempo riconosciuto che è loro diritto. Se i consolati italiani si adeguassero spontaneamente a tale decisione ed evadessero le domande di «doppia cittadinanza» in un sol colo verrebbero meno 25mila procedimenti.

Un ingorgo nei Tribunali è costituito dalla «protezione internazionale» ossia dalle domande dei cittadini stranieri che sono perseguitati nei paesi di origine e cercano protezione nell’Unione Europea. Se non viene riconosciuta in sede amministrativa, la questione passa innanzi ad un giudice. Se le commissioni territoriali del Ministero dell’Interno riconoscessero la «protezione internazionale» nei casi in cui certamente verrà poi concessa da un giudice, non penderebbero più gli 80mila processi che sono un macigno nelle statistiche giudiziarie.

Non è questione ideologica ma di investimenti e capacità di leggere i numeri e capire dove si può intervenire.

Il Ministro ha intenzione di farlo, sia pure «all’ultimo momento»? O si accontenta di riformare la magistratura lasciando lenta ed inefficiente la macchina della giustizia.

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