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Spopolamento: il Sud riscopra l’idea di comunità

Spopolamento: il Sud riscopra l’idea di comunità

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

Spopolamento: il Sud riscopra l’idea di comunità

Chi solo qualche decennio fa avesse affermato che il problema del Sud non risiede nella mancanza di crescita economica bensì nella denatalità, sarebbe stato ritenuto fuori di senno

Mercoledì 25 Giugno 2025, 13:30

Chi solo qualche decennio fa avesse affermato che il problema del Sud non risiede nella mancanza di crescita economica bensì nella denatalità, sarebbe stato ritenuto fuori di senno. Le cose sono cambiate in fretta e oggi la stessa affermazione può considerarsi quasi scontata. Negli ultimi anni il Sud è cresciuto più del resto del Paese. Contemporaneamente, le previsioni attestano che da qui al 2050 rischia di perdere quasi tre milioni di abitanti. Qualche giorno fa il ministro Giorgetti ha lanciato l’allarme, definendo “drammatico” lo spopolamento delle aree interne, in particolare di quelle meridionali. E anche la gran parte degli italiani hanno compreso che la più grande emergenza è quella demografica. Secondo un’indagine svolta dalla Fondazione Magna Carta, l’80% dei cittadini considera la denatalità una minaccia concreta. Perché un Paese che invecchia, lavora meno e rischia di collassare sotto il peso del proprio sistema previdenziale. Affinché nel Mezzogiorno si produca una reazione all’altezza del rischio, è importante innanzitutto necessario ovviare alla “grande rimozione”. Essa ha un nome che ancora spaventa: Covid. Una tragedia collettiva che avrebbe dovuto lasciarci almeno una certezza: il modello basato sulle concentrazioni urbane e su città che si espandono senza più confini tra centro e periferia, è giunto al capolinea. La pandemia ha incrinato la fiducia in un modello sociale che pareva imbattibile: efficientismo compulsivo, produzione seriale, organizzazione sociale ridotta a flussi, dati, target. Ha condannato un tipo di relazioni umane basate sull’iper-individualismo e la progressiva marginalizzazione di ogni realtà comunitaria. Le culle vuote ne sono la manifestazione più evidente. I borghi ridotti a territori fantasma, un’altra. Lo squilibrio crescente tra coste affollate e montagne spopolate, un’altra ancora.Eppure, proprio durante il Covid si è intravista un’alternativa che nulla ha a che vedere con la decrescita che qualcuno vorrebbe felice. I territori a misura d’uomo, con legami comunitari forti e un’idea diversa di benessere, sono stati rivalutati come diga contro la disgregazione sociale. Dal combinato disposto di tre fattori – la riscoperta dell’ascolto nel tempo sospeso del “lockdown”, il desiderio dei giovani di restare o tornare nei luoghi d’origine, e l’uso della tecnologia al servizio della produttività – può oggi nascere un’occasione di rigenerazione per le “aree fragili.” Nel Sud e nell’Appennino può essere riscoperta l’idea di comunità e di relazioni “calde” in senso umano e relazionale. Perché quei valori non sono scomparsi. Di essi si nutre il tessuto sociale dal quale può derivare una manifattura imprenditoriale, creativa, originale, che da sempre rappresenta il valore aggiunto del prodotto italiano. Si tratta di un patrimonio che non va abbandonato. La crisi demografica è la risultante di tanti fattori diversi. Proprio per questo è difficile da fronteggiare. Le misure introdotte dal Governo – bonus bebè, detrazioni per le famiglie numerose, incentivi per il lavoro femminile – sono senz’altro utili. Di altre ancora vi sarebbe bisogno: un fisco meno redistributivo e più “generativo”, servizi sanitari e educativi accessibili, un sistema di sostegno per le aziende che investono nel welfare e nella genitorialità. Quel che serve più di ogni altra cosa, però, è che il Sud non smarrisca la sua anima. Questa parte del Paese ha evidenziato tanti segnali positivi nel post-covid. Un PIL senza figli, però, è una mera illusione contabile. Il Mezzogiorno non può permettersi di smarrire sé stesso. Deve tornare ad essere amico del futuro e delle generazioni future. Deve puntare sulle sue peculiarità storiche a lungo ingiustamente ritenute fattori di arretratezza. Almeno in ciò deve rifiutare l’omologazione.

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