Cari amici Magistrati, da semplice cittadino ho assistito al convegno da voi organizzato a Bari lunedì scorso sulla pseudo-riforma della Giustizia proposta dal Governo-Meloni, e ne sono uscito turbato e preoccupato.
Premetto che condivido quasi per intero le argomentazioni che vi spingono a contrastare questa «riforma»: la separazione delle carriere rischia di indebolire i diritti del cittadino, mettendolo alla mercé di una specie di superpoliziotto autoreferenziale; lo sdoppiamento del CSM, e soprattutto la sua ridicola elezione per sorteggio, minerebbe inevitabilmente l’autorevolezza del governo autonomo, e dunque l’autonomia e l’indipendenza della magistratura; e persino l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, che potrebbe avere un senso per tutte le magistrature, appare come una sorta di punizione inflitta alla sola magistratura ordinaria. Il mio turbamento e la mia preoccupazione, allora, non hanno a che vedere con il merito della vostra legittima e giusta protesta, bensì con il metodo.
Avete introdotto il convegno richiamando la necessità che la difesa dell’attuale assetto costituzionale non appaia come un’istanza corporativa, ma che - nella prospettiva dell’annunciato referendum confermativo - diventi rivendicazione dei cittadini, ai cui diritti il dibattito deve essere ispirato. Istanza sacrosanta! Ma amaramente contraddetta dalla pratica del vostro convegno. Tenuto, per cominciare, non in una sede che rappresentasse l’auspicata apertura ai cittadini (l’Università, per esempio) ma nel palazzo della giustizia penale, dove solo per entrare io avvocato ho dovuto superare un interrogatorio che manco a un check-point israeliano in Cisgiordania. Al convegno, poi, sono intervenuti solo magistrati (l’imprevista presenza di Don Ciotti è stata salutare), tre direttori di giornali e due docenti universitari, tutti schieratissimi su tutte le vostre posizioni.
Anche qui, prescindo totalmente da quel che è stato detto, che in gran parte condivido (pur se grida vendetta al cielo l’affermazione di un docente di Diritto Costituzionale, secondo cui «già oggi i laici del CSM sono, diciamocelo, espressione del Governo». Poveri noi …). Ma non vi sembra che in un’ottica di apertura ai cittadini sarebbe stata necessaria qualche altra voce? Dov’erano, per esempio, gli avvocati? Non invitati, quasi che le discutibili posizioni delle Camere penali li avessero fatti diventare tutti dei nemici da cui guardarsi. E dov’erano i tanti giornalisti che pur saltuariamente vi rivolgono qualche critica? Non invitati, quasi che tutta l’informazione sia schierata compattamente per la separazione delle carriere. E infine, dov’erano i parlamentari, gli uomini politici, che pure dovrebbero rappresentare la generalità degli elettori? Non invitati, quasi che la politica fosse tutt’intera una cosa sporca, da cui bisogna guardarsi con sospetto.
Capirete, allora, il mio turbamento e la mia preoccupazione. Se addirittura anche noi avvocati siamo vissuti come nemici, se neppure il Presidente dell’Ordine viene invitato a prendere la parola, come pensate che si possa vincere un referendum sulla giustizia? Potrebbe mai funzionare una sanità in cui medici e infermieri si guardassero perennemente in cagnesco? Il futuro della giustizia che vagheggiate è forse quello della «trattazione scritta», in cui magistrati e avvocati neppure si conoscono più?
So bene, cari amici, che vivete questa iniziativa del Governo come un attacco immeritato. Ma la risposta non può essere la chiusura in difesa della purezza dei propri principi. Dovete fare un minimo di autocritica. Dovete riconoscere che se siamo a questo punto, se la Giustizia è diventata quella di Garlasco, anche voi magistrati ci avete messo del vostro, rifiutando pervicacemente da più di trent’anni qualunque mutamento dell’attuale assetto, ovvero non difendendo i pur timidi passi mossi dal Parlamento nella giusta direzione. Ad esempio, ho sentito nel vostro convegno un autorevolissimo ex-magistrato proporre come antidoto alla separazione delle carriere l’obbligatorietà dello svolgimento di funzioni giudicanti da parte dei neo-magistrati; dimenticando che una norma in tal senso venne introdotta nel 2001 dalla legge Fassino, e venne cancellata dopo appena tre anni dal governo Berlusconi con l’entusiastica adesione dell’Associazione Magistrati.
Cari amici, concludo richiamando l’intervento al vostro convegno dell’ex-magistrato (ed ex-«politico») Giannicola Sinisi, il quale vi ha ricordato l’insegnamento ricevuto da Giorgio Napolitano: quando si smette di discutere, finisce la politica! E se finisce la politica – aggiungo io – finisce la democrazia. Allora, vi prego, non smettete di discutere, e soprattutto non discutete solo tra voi e con chi è d’accordo su tutto con voi. Accettate la critica, le opinioni diverse, anche se non collimano esattamente con le vostre. Solo così sarà possibile costruire un ampio schieramento in difesa dell’attuale assetto costituzionale, che tenga insieme tutti coloro i quali – pur da posizioni differenti – hanno a cuore la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
Clemanceau diceva che la guerra è una cosa troppo seria per farla guidare dai generali. Ebbene, la Giustizia è un valore troppo importante per farla difendere solo dai magistrati.