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Detenuti, poveri, migranti: nell’anno giubilare coltiviamo la speranza

 
Filippo Santoro

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Filippo Santoro

Detenuti, poveri, migranti: nell’anno giubilare coltiviamo la speranza

Questa sera nella Vigilia del Natale si apre il Giubileo del 2025 con il motto «Pellegrini di Speranza» scelto da Papa Francesco

Martedì 24 Dicembre 2024, 12:48

Questa sera nella Vigilia del Natale si apre il Giubileo del 2025 con il motto «Pellegrini di Speranza» scelto da Papa Francesco. Il Giubileo già nella storia del popolo di Israele era un tempo di condono di ogni forma di debito, di remissione, di alleggerimento dei pesi accumulati nel tempo per gravami di tipo materiale e spirituale. Nel suo viaggio in Corsica del 15 dicembre scorso il Papa ha detto: «Davanti alle devastazioni che opprimono i popoli, la Chiesa annuncia una speranza certa, che non delude, perché il Signore viene ad abitare in mezzo a noi». E il documento di indizione dell’Anno Santo annuncia: Spes non confundit, «la speranza non delude» (Rm 5,5).

Il Giubileo è una pratica della Chiesa nella prospettiva di un nuovo inizio non solo per i cristiani, ma per tutta l’umanità. Il Cristianesimo in mezzo a tante cose che deludono ha l’audacia di proporre qualcosa che non delude. Con la sua nascita Gesù di Nazaret non ci dà esclusivamente un regalo, ma ci offre la ragione per cui siamo nati e il senso della nostra vita. La domanda di senso è di tutti; e per tutti è la speranza cristiana perché si fa nostro compagno di cammino uno che è all’origine e alla fine del tempo. E lo fa nella carne di un bambino che con molta discrezione si offre alla nostra libertà.

Ci dice ancora il Papa nel documento di indizione dell’anno santo: «Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi».

Durante il mio ministero a Taranto uno dei momenti più belli era la celebrazione del Natale e della Pasqua nella casa circondariale. I detenuti aspettavano questo momento e la conferma mi è venuta in un incontro fatto in un viaggio di ritorno da Roma a Bari. Oltre al mio bagaglio avevo ricevuto in regalo un quadro e, mentre mi trovavo in difficoltà nel sistemare le cose, mi ha aiutato un signore con prontezza e gentilezza. Poi ci siamo seduti in posti diversi. Arrivati in aeroporto a Bari mi ha raggiunto nuovamente e mi ha detto: «Don Filippo, anni fa lei mi ha stretto la mano con tanto affetto mentre ero nel carcere di Taranto e quello è stato per me il momento più bello di tutto quel periodo. Poi sono uscito e sono stato assolto, ma non ho dimenticato quell’incontro; ed oggi sono molto contento di averla rivista». Che sorpresa dinanzi a tanta gratitudine! Ci siamo nuovamente abbracciati per qualcosa che ha segnato la nostra vita. Nel mio abbraccio c’era qualcosa di più grande: il mistero di quella nascita di Gesù che non ci abbandona mai.

Il Giubileo è il tempo favorevole in cui ci spalanchiamo ad un amore grande che ha il volto della misericordia anche in mezzo a tante difficoltà e croci. Questa è la ragione per cui è particolarmente preziosa la decisione del Papa di aprire una Porta Santa anche nel carcere di Rebibbia per ricevere l’indulgenza.

Ci sono tanti mali che potrebbero essere curati in questo Anno Santo a cominciare dalle guerre con 56 conflitti attivi nel mondo, ai femminicidi, ai danni prodotti alla terra dal cambiamento climatico, ai naufragi dei migranti, all’usura, alla denatalità e potremmo continuare a lungo. In tutto questo c’è un cuore ferito che ha bisogno di essere curato in tutte le latitudini. Nelle ferite umane è venuto ad abitare in mezzo a noi un Bambino, nato a Betlemme e deposto in una mangiatoia «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Luca 2,7). E i poveri pastori furono avvolti da una grande luce mentre nell’estrema povertà e nella notte risuonò il canto «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Questo insieme di povertà e di gloria ci fa sperare che il limite e il male non vincono dal momento che il Signore dell’universo è nato in quel limite ed ha preso su di sé tutte le conseguenze del male tranne il peccato. Proprio in uno dei punti più martoriati della terra è nata la speranza e a Betlemme nella grotta della natività c’è una scritta: Hic Verbum Caro factum est «Qui il Verbo si è fatto carne».

Poi quel bambino è diventato un uomo, il Destino si è fatto vicino. Quando ero in Brasile e il tema della liberazione dalla dittatura militare, dalla povertà e dalle strutture oppressive era fortissimo ho chiesto a don Giussani, una volta che venne a visitarmi, se ci fosse qualcosa di più della liberazione economica e lui mi ha detto: «Certo la libertà, la dignità e la giustizia sono le cose più care che abbiamo, ma la liberazione integrale è quando il Destino è più vicino al cuore dell’uomo». Il compimento della libertà è l’amore, il dono di sé come ha fatto il bambino che è nato a Betlemme e che il potere ha crocifisso, che l’amore del Padre ha risuscitato per dare la vita a tutti i crocifissi del mondo.

Abbiamo proprio bisogno di questa speranza che l’Anno Santo ci propone.

Buon Natale a tutti.

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