A monte della vicenda politica e giudiziaria di Genova, c’è una confusione situazione giuridica. Nel corso di questi anni alcuni interventi hanno peggiorato e non migliorato le condizioni del Parlamento e di riflesso anche quelle del sistema politico.
Le ultime leggi elettorali sono state una peggio dell’altra, dal Porcellum al Rosatellum, e si sono risolte nell’eliminazione delle preferenze e nella conseguente espropriazione degli elettori della facoltà di scegliere il «loro parlamentare». Questa, a nostro avviso, è una, non la sola, ragione del crescente assenteismo. Questa linea va equamente ripartita tra il centrodestra e il centrosinistra: se il «Porcellum» va messo in conto specialmente al centrodestra (da Verdini a Calderoli), invece il «Rosatellum» richiama non a caso il nome dell’allora capogruppo del Pd.
Le cose però non si sono fermate qui. Ci sono stati due provvedimenti che in rapida successione hanno inferto al sistema dei colpi durissimi. In primo luogo, il demagogico taglio del numero dei parlamentari. In secondo luogo, la fine del finanziamento pubblico dichiarata dal governo Letta nel 2014. Esso è stato sostituito dal finanziamento dei privati che però non è stato regolamentato in modo preciso. Sulla base dei testi oggi esistenti è possibile ai privati finanziare, purché in modo trasparente, fondazioni private e comitati elettorali che fanno capo a partiti, a leader di partito, a presidenti di Regione, sindaci e assessori.
Secondo l’interpretazione che si fonda sui testi, una volta che il finanziamento di un’impresa privata è stato dichiarato, non c’è illiceità se quell’impresa si muove nel territorio i cui presidenti regionali, sindaci o assessori sono stati finanziati. Ancora più indeterminata è la situazione riguardante ministri e partiti a livello nazionale. Invece le vicende genovesi mettono in evidenza che su Toti e compagni è scattata un’interpretazione di segno opposto da parte delle Procure di Genova e di La Spezia: se nella regione i cui presidenti e assessori hanno incassato «in chiaro» finanziamenti da privati, e questi privati hanno acquisito lavori in quelle aree, l’operazione può essere perseguita come espressione di una sostanziale tangente. Questo è il punto centrale della questione genovese. Aldo Spinelli appare la figura principale della vicenda dal punto di vista imprenditoriale visto che lavora proprio nel porto e nelle zone limitrofe. In più lui stesso sta proclamando che in questi anni ha finanziato tutti i partiti e ha ricevuto nel suo yacht personaggi politici e presidenti di Regione appartenenti a tutti gli schieramenti politici.
Come si vede siamo davanti a una situazione suscettibile di opposti trattamenti giuridici. Francamente, proprio per l’esistenza di questa incertezza di fondo, non possiamo fare a meno di esprimere il nostro parere negativo sulla decisione di arresto di Toti e non sull’invio di un avviso di garanzia che già di per sé avrebbe evitato ogni reiterazione del reato o la manipolazione delle prove senza ricorrere a una soluzione estrema che dà per scontate anche interpretazioni giuridiche che invece sono ancora del tutto aperte. Forte è l’impressione che la Procura di Genova e quella di La Spezia si muovano in funzione di una linea politica più che giuridica, cioè quella di ottenere le dimissioni di Toti e le conseguenti elezioni regionali.
Aggiungiamo un ultimo rilievo: l’arresto di un presidente di Regione a meno di un mese dalle elezioni europee ha evidenti e volute ricadute politiche. Questa forzatura avviene in un contesto nel quale le Procure sono nettamente contrarie al progetto governativo di sdoppiamento delle carriere fra magistratura giudicante e magistratura inquirente. E non c’è nessun testo governativo che preveda l’intenzione di proporre la dipendenza dei pubblici ministeri all’esecutivo.
Il problema vero è un altro. Attualmente il Csm decide sulle carriere dei magistrati sulla base delle intese fra le correnti. Oggi tutte le correnti sono in mano ai pubblici ministeri. Di conseguenza, le carriere dei magistrati giudicanti sono nelle mani dei pm che quindi sono scesi in guerra per difendere il loro enorme potere non solo nei confronti della società e della comunicazione, ma anche all’interno della magistratura dove così decidono anche le carriere dei magistrati giudicanti.
Per tutte queste ragioni noi riteniamo che, specie in una situazione quale quella italiana, dove la magistratura è molto politicizzata, la via maestra è quella del ritorno al finanziamento pubblico, un finanziamento pubblico all’altezza delle esigenze reali dei partiti, accompagnato dalla realizzazione dell’articolo 49 della Costituzione in modo da assicurare la massima democrazia interna dei partiti e quindi una gestione davvero collegiale all’interno di essi delle risorse pubbliche. Secondo questa impostazione, il finanziamento dei privati dovrebbe avere un’impostazione simile a quella esistente in Inghilterra che vieta ogni contributo privato da parte di imprese che operano nel contesto territoriale o settoriale gestito dagli uomini politici che essi finanziano.
Vista la situazione segnata da una grande ambiguità e anche da alti rischi di strumentalizzazione politica, a nostro avviso non resta che tagliare la testa al toro.