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Palermiti, il boss sanguinario che ha tenuto in scacco un pezzo di economia barese

 
Carmela Formicola

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Carmela Formicola

Palermiti, il boss sanguinario che ha tenuto in scacco un pezzo di economia barese

L’arresto di Eugenio Palermiti e la trama occulta di illegalità imbastita nel tessuto sociale barese e pugliese, dovrebbe imporre a tutti una riflessione sul totale inabissamento dei clan e sulla loro riconversione a holding

Martedì 13 Febbraio 2024, 13:44

Il box al mercato coperto, la cornetteria, il centro estetico, il garage, il Centro carni srl. Ma anche le attività non direttamente riconducibili alla famiglia Palermiti sono in qualche modo sotto il suo «ombrello», visto che una delle più redditizie attività del clan è il racket delle estorsioni. Oltre al narcotraffico, ovvio. Eugenio Palermiti, non è solo il mandante della gambizzazione di Teodoro Greco, consumata  il 20 novembre  2013,  come si evince dall’ordinanza di custodia cautelare notificatagli nelle scorse ore. È l’eminenza grigia di un piccolo grande pezzo di economia barese.  È la conferma dell’avvenuto travaso del denaro sporco nella finanza ufficiale.

Eugenio Palermiti nella gerarchia mafiosa conserva il grado di «nona». Ed è (forse era) il braccio destro di Savinuccio Parisi, il boss indiscusso, sebbene in questi anni u gnur (il nomignolo di Palermiti), gli abbia sfilato parecchio terreno. Il clan Parisi, con Savinuccio recluso da anni e anni e i guai giudiziari toccati al figlio Tommy, di fatto si sarebbe da tempo incamminato sul viale del tramonto. Palermiti avrebbe avuto l’intuito di  coagulare i nuovi picciotti assetati di sangue, ricreare un suo esercito, consolidare il suo potere egemonico- e non solo nel perimetro del quartiere Japigia - e infine di infilarsi nei più svariati gangli della società e dell’economia sane.

Ma torniamo all’episodio per il quale la Procura antimafia di Bari ha chiesto e ottenuto l’arresto del boss. Teodoro Greco nel 2013 era un  «colletto bianco» (più o meno). Incensurato e con le giuste conoscenze. Lavorava in un’agenzia  di distribuzione di giornali e a Palermiti dispensava favori di ogni genere. Fino al giorno in cui il gioco si  fa troppo pericoloso e  Teodoro Greco tenta  di sottrarsi alle richieste del boss.  «Il rifiuto di continuare  aveva determinato propositi di vendetta, culminati nell’ordine di sparargli», la ricostruzione degli inquirenti. Il movente del ferimento sarebbe stato quello di indurre la vittima a chiedere proprio a Eugenio Palermiti aiuto e protezione dopo  l’agguato subito.

Ma l’ordinanza di arresto eseguita ieri dalla Squadra Mobile riguarda anche altri fatti, atti persecutori e violenza privata, sempre aggravati dal metodo mafioso, commessi tra gli anni 2021 e 2022, contro tre aspiranti collaboratori di giustizia e dei loro familiari, nell’obiettivo di ottenere la ritrattazione delle dichiarazioni rese e l’allontanamento forzoso delle loro famiglie  dal quartiere Japigia. In controluce, si ricompone il ritratto del boss, spietato e violento. Nulla delle caratteristiche del suo capo (o ex capo) Savinuccio, stratega sottile e modernissimo se confrontato ai sanguinari criminali degli anni Novanta. Palermiti invece  è rozzo e cattivo. Lui stesso si vanta  di aver ucciso un pitbull a mani nude.  E il suo potere nel quartiere ha la classica, pacchiana iconografia gomorriana. Un esempio? In una delle sue proprietà in via Padre Pio ha uno zoo privato con tanto di zebre, pavoni animali esotici e dromedari. Nonostante le disperate segnalazioni dei residenti (spesso turbati dai versi notturni degli animali)  nessuno mai è andato a mettere il naso nella tenuta del boss. Il quale, oltre tutto, nonostante i guadagni favolosi per le numerose attività lecite e  illecite, si è per anni ostinatamente sottratto al Fisco dichiarando addirittura (nel 2012) un reddito di  3.500 euro. Il Tribunale di Bari, nel 2022, accogliendo  la richiesta  del procuratore Roberto Rossi,  è riuscito a mettere le mani su beni per un milione di euro. Ma il patrimonio di u gnur è sterminato. E ben nascosto dietro la facciata «pulita» di decine e decine di attività commerciali e societarie.

L’arresto di Eugenio Palermiti e la trama occulta di illegalità imbastita nel tessuto sociale barese e pugliese, dovrebbe imporre a tutti una riflessione sul totale inabissamento dei clan e sulla loro riconversione a holding. Società finanziarie, aziende di servizi, ristoranti, sale ricevimenti, b&b. E ancora masserie, negozi, bar, ditte, imprese, srl. Tutto questo è la mafia oggi, niente pallottole, molti moltissimi affari. E «colletti bianchi», certo. E non solo.

Ecco perché le imminenti elezioni rilanciano un allarme atavico. A ogni giro di consultazioni i sodalizi escono dai bassifondi e provano ad arrampicarsi sui palazzi del potere, attraverso la compravendita di pacchetti di voti, pescati nelle periferie, nelle tasche poverissime della società, tra chi non ha né fede né reddito né colore politico né morale. Anche questa è la Puglia. La Puglia peggiore.

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