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Il veto italiano al Mes svela le spaccature delle due coalizioni

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Il veto italiano al Mes svela le spaccature delle due coalizioni

Il «no» di Montecitorio ha avuto , nella filosofia della condivisione unanime che ispira le decisioni importanti dell’Unione Europea, il valore di un veto: tutto il processo si fermerà lasciando in piedi le regole vecchie

Mercoledì 27 Dicembre 2023, 13:53

Il Mes si trova a pieno diritto tra le parole ipnotiche che dilagano nel dibattito pubblico senza che i media si prendano la briga di spiegare che cosa sia. E allora proviamo innanzitutto a fare la scoperta di cosa si nasconda dietro l’acronimo Mes: è il Meccanismo Europeo di Stabilità, uno strumento operativo prodotto nel 2012 dall’intesa di 20 Paesi sovrani dell’area Euro, tra cui, ovviamente, l’Italia, per sovvenire alle difficoltà temporanee (e non strutturali) degli Stati membri con interventi di sostegno finanziario. Non a gratis, naturalmente.

Com’è noto - almeno per il rumore rimbalzato negli organi di stampa - nei giorni scorsi la Camera dei deputati ha bocciato la ratifica del trattato sottoscritto nel 2021 dai governi dei venti Stati che diedero vita al Mes, documento che modificava le regole d’ingaggio originarie introducendo alcune più rigorose verifiche sulla sostenibilità del debito dei Paesi sottoscrittori, prevedendo, peraltro, alcune forme agevolative riguardo i programmi della sua ristrutturazione e interventi mirati a sovvenire la crisi del sistema bancario europeo.

Il «no» di Montecitorio ha avuto , nella filosofia della condivisione unanime che ispira le decisioni importanti dell’Unione Europea, il valore di un veto: tutto il processo si fermerà lasciando in piedi le regole vecchie.

A questo punto la questione relativa al contenuto del nuovo Mes, rilevante, senza dubbio, appare però, dal punto di vista del «come» si è giunti a questo voto, persino un po’ in ombra rispetto a quello che, invece, la bocciatura di giovedì 21 dicembre racconta della politica italiana. Si può ergere un muro ideologico per fermare il Mes bloccando tutta l’Unione: il diritto di veto lo consente ed è stato esercitato in passato anche in modo brutale da Paesi fondatori come la Francia con la bocciatura, dopo un referendum, della Costituzione europea che ne bloccò l’evoluzione verso traguardi di più alta coesione. Ma per tutto occorre un filo di coerenza e, forse, anche un po’ di stile. E allora diciamo pure che quello che abbiamo visto giovedì alla Camera dei Deputati non va suggerito nelle antologie dello stile e della coerenza. Intanto per l’implosione delle due coalizioni: il voto «contro» del partito della presidente Meloni, il volto dell’Italia nelle istituzioni europee, e della Lega ha incrociato l’imbarazzo di Tajani e dei suoi sodali che, non potendo votare a favore per evidenti ragioni di convivenza in maggioranza, ha optato per l’astensione. L’imbarazzo ha trascinato con sé anche il Ministro dell’economia Giorgetti, leghista dal volto umano che aveva fino all’ultimo chiesto di votare entro il 31 dicembre il documento. Ma, com’è già accaduto più volte in passato, ha dovuto deglutire una cospicua quantità di rospi. Nessun imbarazzo, invece, nell’opposizione, dove Conte ha votato no piantando la bandiera più simile a quella di Salvini e dei meloniani nel sentimento sovranpopulista.

Nei vecchi manuali di politica si racconta che è sulla politica estera che si qualificano i governi e le bandiere politiche. Che voto dare allora alla performance della politica italiana lo scorso giovedì? Sul piano internazionale non è stata una gran figura: nel 2021 l’Italia, non i singoli partiti, ma lo Stato italiano, sottoscrive un impegno e oggi lo nega. Non è proprio un monumento alla nostra affidabilità, tanto più perché porta in pancia - almeno per l’area di governo - come una specie di ripicca per un accordo sul patto di stabilità passato sulla testa della Meloni al tavolo dove le carte le davano Francia e Germania. Non hanno fatto figure splendide partiti e coalizioni, con quell’andirivieni di sostegni e ritiro di sostegni e spaccature interne. Se non ci fosse una debolezza conclamata della sinistra, la destra, dopo un distinguo come quello di Forza Italia, sarebbe in crisi. Ma la sinistra lo è già: se il partner più solido della coalizione dopo il Pd è il M5S, come si potrà mai costruire un’alleanza duratura con chi diverge sui fondamentali di politica estera e magari coltiva per il suo leader Conte desideri di egemonia su tutta l’area?

Prepariamoci ad una campagna elettorale lunghissima, che durerà fino a giugno, il mese delle elezioni europee. Nel frattempo godiamoci le feste: una moratoria dalla propaganda politica, uno spicchio di pace. Auguri.

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