Da una prima chiacchierata con alcuni italo-argentini, figli di immigrati di seconda generazione, provenienti dal Sud Italia (ecco alcuni cognomi: Soldano, Balestra, Tursi, Tassile e altri…), l’elezione del nuovo presidente argentino «non farà altro che allontanare il Paese dal progresso culturale e sociale». Come mai una fetta di popolazione, in particolare di origine italiana, è così preoccupata da questo dato elettorale, che ha il sapore di un’assurda vocazione neofascista? Alcuni commentatori hanno descritto Milei come un politico «di destra», «di estrema destra» o «populista».
Milei ha dato un sostegno corposo, nei precedenti anni, a Trump e Bolsonaro e, durante una recente intervista con il conduttore, peraltro di estrema destra, Tucker Carlson, ha respinto il movimento Black Lives Matter, l’ideologia Lgbt, il femminismo e il cambiamento climatico, dicendo che farebbe tutto parte di una «agenda socialista» internazionale votata al «complottismo organizzato degli intellettualoidi di sinistra». Frasi grossolane e prive di senso, che generalmente rimpolpano l’attuale lessico dei populisti, facendo capo ad affermazioni non documentabili, prive di dati e decisamente carenti di pensiero critico. Tentiamo invece di fare un’operazione contraria, cercando, grazie all’aiuto di intellettuali e cittadini, di recuperare la profondità storica del ragionamento, proprio per mostrare al resto del mondo come l’Argentina sia stata, nel tempo, un Paese di grande rilevanza anche grazie alla sua vocazione all’accoglienza.
Il filosofo Matt Zwolinski dell’Università di San Diego ha aggiunto, sul tema, che le politiche di Milei sono il retaggio del «paleolibertarismo» di Murray Rothbard e Lew Rockwell, due nomi che ci danno un’idea di come potrebbe essere il nuovo populismo libertario argentino. All’inizio degli anni ‘90, questa scuola sosteneva politici razzisti come David Duke ed era sostenitrice di una politica di immigrazione nativista (restrittiva) e di una violenta repressione, da parte della polizia, contro i «vagabondi» o semplicemente contro i «senzatetto». Posizioni che sono riemerse dopo la presidenza Trump e sono diventate, nel tempo, dominanti nel Partito Libertario degli Stati Uniti. Questa strada sarebbe un danno notevole per l’Argentina degli anni Venti del Duemila!
Come ha scritto un autorevole studioso dei fenomeni migratori fra Italia e Argentina, Fernando J. Devoto dell’Università di Buenos Aires, «lì tutto sembra italiano». Ed effettivamente è così. Gli italiani fanno parte, a più livelli e da più generazioni, del tessuto sociale argentino, basti pensare che, nel XIX secolo, arrivarono in Argentina non solo braccianti agricoli del Meridione, ma anche esuli politici, espulsi nel corso dei moti risorgimentali.
Queste persone hanno dato una notevole impronta culturale a quei luoghi. La successiva ondata migratoria, poi, fu quella dei migranti per lavoro. Il territorio argentino (circa 9 volte l’Italia) e poco popolato (meno di 2 milioni di residenti a metà del XIX secolo, a fronte degli oltre 20 milioni dell’Italia) non esitò, fra Ottocento e Novecento, a incoraggiare l’accoglienza dei migranti europei, cercando di affidare loro le terre incolte, per aumentare la produzione agricola interna.
Il modello prescelto? Un’immigrazione a favore di tutti. Fu proprio a seguito di queste ottime scelte che il territorio si ampliò dopo la Guerra de la Triple Alianza (o guerra del Paraguay), finita, nel 1870, con l’annessione di alcune aree della regione di Misiones e del territorio del Chaco. Facciamo ancora un altro passo indietro, utile poi per comprendere il disorientamento di molti italo-argentini, oggi, dopo la vittoria del presidente Milei. Agli inizi del secolo scorso, nei più remoti villaggi italiani era imperniata efficacemente l’idea che l’Argentina spalancasse le porte alla modernità, confidando sull’apporto dei nuovi arrivati. Si può ritenere che, a differenza dell’accoglienza riservata agli italiani nell’America del Nord (specialmente se originari delle regioni meridionali), in Argentina, in quella fase storica, sia stato assunto, in qualche modo, un «pregiudizio bello e positivo», secondo cui, proprio con la creatività e l’ingegno della popolazione italiana, si sarebbero aperte, pian piano, le porte al cambiamento culturale ed economico del Paese sudamericano.
Il filosofo argentino Laclau, autore de La Razón Populista, in un’intervista rilasciata al quotidiano «La Nación», alcuni anni fa, ha affermato che «quando le masse popolari che erano state escluse entrano nell’arena politica, appaiono forme di leadership non ortodosse, lungi dall’essere un ostacolo alla democrazia».
Difficile immaginare che questo nuovo underdog non sarà di ostacolo ai principali concetti democratici. La giornalista sudamericana Scandura, a tal proposito, ha detto: «Storicamente, i populismi dell’America Latina hanno tentato di ridistribuire la ricchezza e di includere gli strati sociali più esclusi con obiettivi essenzialmente sociali. Mentre i partiti populisti dell’Europa occidentale sono stati, e continuano a essere, caratterizzati da xenofobia e razzismo ed escludono intere categorie di popolazione».
Siamo d’accordo? Come commentano alcuni cittadini questa bipartizione fra populismo europeo e populismo dei Paesi latini? Una buona risposta proviene da Roberto Leher, dell’Università di Rio de Janeiro, il quale ha ricordato che i nuovi populismi e il neolibertarismo latino-americano non hanno nulla a che vedere con quell’attenzione al popolo dei tempi di Paulo Freire, tempi profondamente basati sull’attenzione all’educazione e ai principi democratici, che ruotano profondamente sull’alfabetizzazione. Oggi, invece, i populisti latini hanno visto crescere la loro influenza tra i settori meno scolarizzati, tra i fondamentalismi religiosi, per cui questo discorso si associa politicamente a un «neoliberismo degenerato», a un individualismo possessivo, al razzismo, alla violenza di genere e all’irrazionalismo come principio di governo, con l’appoggio finanziario (e ideologico) di fondazioni nazionali ed internazionali di carattere neoliberale come i think tanks nazionali (Instituto Millenium, Instituto Liberdade, Estudantes pela Liberdade, Fórum pela Liberdade). Ridondante, forse, precisare che il risultato elettorale argentino non è una bella notizia per quella parte di mondo, a noi strettamente collegata; non è un bell’esempio per i vicini di casa statunitensi, che ancora guardano con ammirazione al trumpismo.