Oltre 500 mila in corteo contro la violenza delle donne. Come si diceva una volta, una manifestazione di massa che ha fatto tanto «rumore». Grande successo. Risposta forte e commossa anche sulla scia della orrendo assassinio di Giulia Cecchettin, per mano del suo compagno. A ben vedere, è stato, a maggior ragione, il caso scatenante della mobilitazione. C’è da dire che ci si sono stati, altresì, 103 femminicidi, fino al novembre 2023. E poi casi di stupri noti e ignoti. L’uomo non ne esce bene ed è nel mirino delle donne per la sua supremazia. Secondo la vulgata di oggi, viene contestato il patriarcato. Stricto sensu, l’uomo detiene in via primaria il domino sulla donna. Ciò succede, quando la donna, per il più dei casi, non è libera economicamente, cioè, è fuori dal mercato del lavoro. In Italia il 47% delle donne non lavorano, per cui devono sottostare al potere dell’uomo, del marito e del padre che siano. Tra parentesi, ci sono stati, dal 2000 ad oggi 528, infanticidi.
La storia della donna è irta di ostacoli ed è piena di pregiudizi e proprio per queste ragioni la sua lotta, per la conquista di diritti, è dura.
Arrotoliamo il nastro all’incontrario.
Tutto è filato liscio, assolutamente no. Ci sono state aree minoritarie di manifestanti che hanno inneggiato a favore delle donne palestinesi e contro la Presidente Meloni. Le une e l’altra non c’entravano nulla, visto che il 25 novembre è la giornata mondiale della violenza contro le donne. Giornata decisa, nel 1999, dall’Onu per commemorare le tre sorelle domenicane trucidate, per la loro opposizione al regime di Rafael Trujllo.
L’errore sta a monte: le associazioni delle donne e soprattutto quella «Non una di meno», verso di una poetessa messicana, hanno lanciato un messaggio di mobilitazione senza il coinvolgimento delle donne israeliane violentate e stuprate l’8 ottobre, nei Kibbutz, dai terroristi di Hamas. Paradossalmente, l’Israele è apparso l’aggressore facendo stragi di donne di Gaza. Cosi da invertire la realtà: l’Israele l’aggredito e Hamas l’aggressore. Piaccia o no, c’è stata una sorta di deriva ideologica che ha creato un assurdo qui pro quo. E poi, hanno scordato le donne iraniane e afghane, che pagano ogni giorno con il carcere e con la vita: le prime perseguitate dalla polizia «morale» del governo teocratico di Teheran e le seconde la repressione dei talebani.
Sono decenni che le donne iraniane organizzano manifestazione di protesta per non indossare, per esempio, il velo, ma tutto è rimasto allo status quo ante.
Le donne afghane, invece, avevano assaporato i diritti di libertà e li hanno persi con il ritorno al potere dei talebani. Fino a quando c’erano le forze militari dell’ISAF della NATO, le donne avevano l’accesso all’istruzione secondaria e all’università, facevano sport, avevano scoperto il viso e avevano iniziato a lavorare per l’amministrazione pubblica dopodiché sono tornate all’oscurantismo.
C’è un antidoto, in Italia, al femminicidio? Alla spicce, occorre una rivoluzione culturale e investimenti nelle politiche di prevenzione e sociali. Alla luce del delitto di Giulia, è stata approvata all'unanimità, a tamburo battente, la legge, secondo cui , in breve, sono state rafforzate le protezioni delle vittime di violenza attraverso misure di prevenzione e reso più semplice l’applicazione del «Codice rosso». Tuttavia, bisogna arrivare all’ordinamento curriculare, non sulla base volontaria, rivolto all’asilo fino all’università dove si insegni l’educazione sentimentale, affettiva e/o sessuale. E la famiglia? Diciamola tutta, è cambiata e, in molti casi, si ricercano nuovi equilibri nel proprio interno, in seguito alla separazione e al divorzio.
Al dunque, su questa materia non si può andare a stop and go, quando c’è il caso di femminicidio si interviene, poi, tutto passa in cavalleria. In proposito, è importante è stata l’adesione del parlamento europeo alla Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere.
In verità , c’è molto ancora da fare per sconfiggere la violenza machista e per arrivare a garantire benessere e felicità alle donne.