Nomen omen. A voler ironizzare su una vicenda molto delicata si potrebbe dire che da un magistrato il cui cognome è Apostolico non ci si può aspettare altro che la propensione a diffondere un messaggio evangelico di fraternità e di solidarietà per gli ultimi, a incarnare uno spirito missionario anche a costo di entrare in frizione con il suo ruolo istituzionale.
Sta di fatto che, ancora una volta, dopo la diffusione di un video che immortala la giudice Iolanda Apostolico - autrice del recente provvedimento che ha di fatto sconfessato il c.d. «decreto Cutro» in materia di immigrazione, ritenendolo contrario alla Costituzione e alle norme dell’Ue - mentre partecipa a Catania, il 25 giugno 2018, ad una manifestazione di protesta in favore degli immigrati trattenuti a bordo della nave Diciotti per decisione dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, è scoppiata la polemica sull’imparzialità dei giudici e sull’inopportunità della loro partecipazione a eventi pubblici. Una partecipazione che comprometterebbe - magari solo potenzialmente - l’immagine e l’autorità di chi amministra la giustizia.
La cosa meno fruttuosa, in casi come questi, è sicuramente irrigidirsi in prese di posizione precostituite o, peggio, cogliere prontamente l’occasione per rinverdire un contrasto endemico tra politica e magistratura mai sopito in Italia, sempre in attesa di una miccia per riesplodere. Come invece anche in quest’occasione sta accadendo, gli uni contro gli altri armati. Un atteggiamento più sensato e proficuo, invece, dovrebbe indurre ad abbandonare squadre e tifi contrapposti per cercare di individuare dei punti fermi, con realismo e armonia.
Naturale che un magistrato, per l’ufficio che ricopre, non può essere privato dei diritti e delle libertà fondamentali. Sarebbe incostituzionale. Vi sono però degli «adattamenti», ad esempio un magistrato non può iscriversi ad un partito politico (anche se in aspettativa) - ne sa qualcosa il Governatore della Puglia Michele Emiliano - o partecipare in maniera sistematica e continuativa all’attività dei partiti medesimi, in quanto ciò sarebbe lesivo della sua imparzialità ed indipendenza. È una conseguenza piuttosto ovvia del principio di separazione dei poteri, ribadita dalla Consulta nel 2018. In sostanza, il cittadino deve ricevere rassicurazioni sul fatto che l’operare del magistrato - giudice o pubblico ministero che sia - non venga ispirato dal desiderio di far prevalere una determinata parte politica. A scapito, evidentemente, dell’imparzialità e, più in generale, della credibilità della magistratura.
È proprio questo il punto emerso nella vicenda Apostolico, più o meno maliziosamente adombrato da Salvini che il video ha reso pubblico - altra questione è quella di chi ne sia l’autore e di come il leader leghista ne sia venuto in possesso - e che deve trovare oggi una risposta: se, cioè, il comportamento della giudice abbia o meno infranto l’immagine di imparzialità che deve avvolgere ogni magistrato. Perché il magistrato non solo deve essere imparziale, ma deve anche apparire tale, e per questo rifuggire da legami di ogni sorta che possano farlo ritenere condizionabile. Ciò detto, le norme non prevedono solo un’elencazione di comportamenti espressamente vietati ma si rimettono alle valutazioni di opportunità del singolo magistrato che devono essere ispirate al rispetto di alcuni criteri generali per non incorrere in un procedimento disciplinare: non va mai compromessa la credibilità personale, il prestigio e il decoro del singolo magistrato o dell’istituzione giudiziaria. Indipendentemente dal fatto che un determinato contegno sia in sé legittimo.
Molti anni or sono - siamo a metà del Novecento - Gaetano Foschini, giurista insigne che fu magistrato, avvocato e docente universitario, parlava di «solitudine di mensa» quale contrassegno necessario per esercitare le funzioni giudiziarie in maniera indipendente ed equilibrata. La società è profondamente cambiata e sarebbe pressoché impossibile pretendere da un magistrato - come da chiunque - di sottrarsi a una rete di interrelazioni in cui è arduo persino districarsi. Ma si può chieder loro di essere prudenti e oculati. Di soppesare le possibili conseguenze del loro agire nella vita di tutti i giorni. È in primis alla sensibilità di ciascuno insomma che ci si deve rimettere, al rispetto che ogni magistrato non può non avere per il ruolo rivestito e per le responsabilità assunte.
Senza caccia alle streghe, ma al contempo senza chiudere gli occhi.