Il mondo al contrario, mai titolo fu più azzeccato. E già: perché il libro pubblicato dal Generale Vannacci, che tanto sta facendo discutere, rappresenta di per sé un indizio che le categorie di giudizio tradizionali non consentono più di comprendere cosa stia accadendo intorno a noi.
In un tempo non lontano, infatti, per la stragrande maggioranza delle persone di buon senso sarebbe stato inconcepibile che un servitore del Paese, per la sua funzione nella condizione di usare legittimamente la forza dello Stato, potesse pubblicare un libro e per di più controverso. La questione non concerne le idee espresse nel volume e, ovviamente, ancor meno il fatto che il Generale possa avere idee di un tipo piuttosto che di un altro. Come si sarebbe detto quando il mondo girava dalla parte giusta si tratta, in primo luogo, di un problema d’opportunità. In quel mondo, infatti, sarebbe stato facile capire che in un caso come questo la libertà d’espressione c’entra poco e niente. Di conseguenza, non si sarebbe confuso il giudizio di merito con la valutazione delle circostanze che avrebbero imposto, diciamo così, una maggiore continenza.
Il fatto poi che questa differenza sia sfuggita innanzitutto agli esponenti della parte politica che fin qui ha sempre contestato la politicizzazione delle funzioni che, per la loro pertinenza con la statualità, è bene restino fuori dalla mischia, rappresenta un’ulteriore conferma: il mondo si è capovolto. Con ogni evidenza, infatti, quanti appartengono al campo che si autoproclama «conservatore», e che in questi giorni hanno espresso perplessità sull’intervento del ministro Crosetto, hanno dimenticato i giudizi del centro-destra su aggregazioni come il Movimento dei Poliziotti Democratici e Riformisti, su quegli ufficiali dell’esercito che si sentivano autorizzati a prendere posizione contro la nostra appartenenza ala Nato o che sfilavano nelle marce per la Pace in piena guerra fredda. Facciano però attenzione: da domani per loro sarà più difficile criticare le iniziative di alcuni magistrati politicizzati nel caso esse - come tristemente avvenuto in passato - siano palesemente orientate da appartenenza politica o correntizia.
Il fatto è che la libertà di espressione è una cosa tanto seria che meriterebbe d’essere tirata in ballo con più prudenza. Semmai, è un altro aspetto dell’affaire Vannacci, fin qui meno commentato, che a proposito meriterebbe invece maggiore attenzione. Il libro del Generale, infatti, è stato «autoprodotto»: non è passato, cioè, dal controllo e dall’imprinting di una casa editrice. Si è trattata di una grande operazione di «disintermediazione» che ha consentito di saltare i passaggi dell’editore, della distribuzione tradizionale, della libreria. L’autore, grazie alla possibilità di ordinare la pubblicazione on line, ha stabilito un contatto diretto con il suo pubblico, scalando le classifiche delle vendite. Non è la prima volta che ciò accade. La stessa strada è stata già battuta con successo da influencer di ogni razza e colore. E, a primo acchito, la circostanza appare come un incredibile progresso, per quel concerne la circolazione di idee e opinioni: dunque, per la libertà d’espressione.
Vale, però, la pena di domandarsi se è veramente così o se, nella realtà delle cose, operazioni come quelle messe in atto con successo da Vannacci siano possibili solo a chi possiede una grande popolarità in rete e a chi intenda esprimere contenuti estremi, «scandalosi», spesso sacrificando la qualità pur di provocare clamore. Inoltre, per vendere decine di miglia di copie auto-prodotte, vi è comunque bisogno di una forza organizzativa che non tutti posseggono. Sorge, perciò, spontaneo il dubbio che se l’auto-produzione libraria dovesse ammazzare l’editoria tradizionale, alla fine le idee non eclatanti, il pensiero più sedimentato, gli studiosi in possesso solo del loro ingegno, avrebbero ancor meno possibilità di oggi per farsi sentire e influenzare l’andamento delle cose. Il libro si accosterebbe a un qualsiasi contenuto della rete e, inevitabilmente, il mondo delle idee diverrebbe ancora più uniforme, conquistato da opposti estremismi. Conviene, dunque, finché si è in tempo, fare tutto ciò che serve affinché questa deriva non si affermi. Per non trovarci, tra qualche anno, a dover tristemente constatare che non c’è più nessuno che possa veramente aprirci gli occhi sul come e sul perché il mondo stia andando alla rovescia.