L’Italia, come sappiamo, è malata di esterofilia. È, verosimilmente, l’unico Paese al mondo in cui il dibattito politico frequentemente è condizionato da quanto avviene all’estero ma non solo quando fuori dai nostri confini influenzano direttamente le vicende di casa, bensì anche per la continua ricerca di modelli a cui ispirarsi. Nel corso di questi anni la sinistra ha mitizzato Ségolène Royal, Sanna Marin, prima ancora Tony Blair; la destra Nicolas Sarkozy, Helmut Kohl, prima ancora José Maria Aznar ma sia l’una che l’altra, hanno guardato agli Stati Uniti come un Faro nella nebbia della contemporaneità, un modello a cui ispirarsi per migliorare la democrazia. E a lungo gli Usa sono stati davvero un riferimento irrinunciabile.
Negli ultimi tempi, tuttavia, il sistema politico statunitense ha smesso di brillare e, per una strana nemesi, le parti sembrano essersi invertite. È l’America ad assomigliare sempre di più all’Italia non, ahìnoi per le sue virtù, ma per i suoi cronici difetti. Un tempo era un Paese coeso, vivacissimo nel confronto politico ma mai lacerante; oggi invece appare spaccato in maniera drammatica tra fazioni che si odiano visceralmente. Quella di una volta si riconosceva nelle Istituzioni, mentre oggi le contesta sistematicamente, a partiti alternate a seconda di chi è il Presidente in carica. Il confronto politico è diventato velenoso fino a contaminare la Giustizia che, come in Italia, è diventata uno strumento di lotta politica.
La campagna elettorale per le presidenziali del novembre 2024, che di fatto è già iniziata, con largo anticipo rispetto alle consuetudini, si sta trasformando in una battaglia anche legale e non ci riferiamo soltanto alle note vicissitudini di Donald Trump, che è stato incriminato quattro volte da marzo ad oggi con decine di capi di imputazione, in quella che assume i connotati di un’offensiva per impedirgli di tornare alla Casa Bianca. Specularmente anche la figura di Joe Biden è diventata negli ultimi mesi controversa, sia nel merito che nella forma.
In estrema sintesi, il sospetto, sempre più circostanziato, è che il Presidente, quando era vice di Obama, abbia abusato del suo ruolo per agevolare gli affari del figlio Hunter con aziende cinesi e ucraine, che avrebbero ricambiato le attenzioni con «elargizioni» alla famiglia Biden per importi stimati a 20 milioni di dollari. Il che è un reato. In quegli anni le banche americane hanno segnalato almeno 150 operazioni sospette, mentre si moltiplicano le rivelazioni che dimostrerebbero come il presidente abbia mentito pubblicamente ed è di queste ore la notizia secondo cui egli all’epoca si sarebbe avvalso di un’email con uno pseudonimo per trattare le materie scottanti - Robert.L.Peters@pci.gov - di cui il Congresso ha chiesto la desecretazione. Ce n’è abbastanza per la richiesta di impeachment, a cui, non a caso, il Partito Repubblicano sta lavorando.
Ma quel che emerge con evidenza e contribuisce ad avvelenare il confronto politico è il doppio standard con cui le due vicende vengono affrontate. Contro Trump il fuoco di sbarramento è impressionante: la magistratura appare severissima e i media implacabili nell’evidenziare le potenziali malefatte del leader repubblicano, con toni moralistici e perentori. Biden, invece, viene trattato con straordinaria compiacenza. Il Dipartimento di Giustizia, e dunque la magistratura, brilla per la sua assenza, ed è significativo che a far emergere i casi sia stata una Commissione parlamentare voluta dai repubblicani, mentre la grande stampa per mesi ha ignorato gli scandali del presidente, iniziando a riferirne solo recentemente ma sempre con evidente ritrosia, relativizzando, smussando, contestualizzando. I documenti Top secret trovati nelle residenze di Trump sono stati denunciati come una violazione gravissima dei doveri istituzionali, quelli analoghi trovati nelle case di Biden come una innocente distrazione.
Sebbene sia troppo presto per esprimere giudizi definitivi sui due casi, appaiono evidenti le conseguenze ulteriormente degenerative sullo spirito civico del Paese e dunque sulla qualità della sua democrazia che, in assenza di novità rilevanti (ad esempio la rinuncia alla candidatura di uno o di entrambi i candidati), rischia di allargare ulteriormente la faglia fra due anime che non solo non si riconoscono più ma che si accusano reciprocamente di illegittimità. L’America che non ti aspetti e che pare aver dimenticato la lezione della storia: le potenze brillano quando sono unite, declinano quando sono divise.